venerdì 21 novembre 2008

Notizie di casa...nostra



Carissimi,

penso sia mio dovere mettervi al corrente di cosa sta succedendo all’interno del Partito Democratico, capace di camminare, contrastare, litigare e proporre. A livello nazionale se ce ne fosse stato bisogno, si inizia a capire come il Governo berlusconiano delle apparenze, dei proclami, cominci a segnare il passo e ad accorgersi che la popolarità e il populismo non sono stabili e sono in …recessione. Basti pensare alle scelte su scuola e Università; sulla delegittimazione degli addetti all’amministrazione pubblica, di quelli cattivi (fannulloni?) e di quelli meno buoni, tanto da far pensare che il privato potrebbe subentrare al pubblico in quanto più efficiente meno costoso. Si riversa sulla gente comune il pensiero della denigrazione degli statali, quasi come un oppiaceo perché questa non pensino ai problemi, ben più consistenti delle difficoltà economiche che sta vivendo. Ma non mi dilungo…
Credo sia opportuno riflettere sulla situazione locale che, a breve, ci interesserà da vicino con le elezioni amministrative, senza dimenticare il PD regionale che ha avuto un momento importante sabato 8 novembre:
1. Sabato 8 novembre si è tenuta l’assemblea regionale del PD presso il Centro Papa Lucani. Si doveva approvare lo statuto che a luglio non si era riusciti ad approvare. Ma forse, la cosa più importante era sentire la relazione del segretario regionale Paolo Giaretta che aveva rassegnato le dimissioni dall’incarico, poi rientrate. Certo, forse rassegnare le dimissioni via notizia di giornale non è stato un gesto molto “democratico”, soprattutto, tra l’altro, in un periodo di amministrative; io penso, però, che di uno scossone c’era bisogno. Il PD veneto doveva e deve mostrarsi propositivo e forte e non più nascondersi dietro a beghe interne di ex-qualcosa. Si vuole pensare? Si vuole guardare al domani? Si vuole ritenere che il cambiamento in PD é frutto di ex appartenenti ai partiti, ma anche di nuovi aderenti, intelligenti e preparati, che hanno qualcosa da dire e da proporre? Credo che questo gesto, pur rimproverato da molti, abbia avuto anche il suo risvolto positivo.
2. Padova. Come saprete si va verso le amministrative per le elezioni del nuovo sindaco. Chi sarà il candidato? Zanonato…attende e medita: prima o dopo uscirà allo scoperto e si vedrà. Nel caso in cui rinunciasse, si andrà, per regolamento, alle primarie. Certo è che lui è un uomo di lungo corso con la sua esperienza; ha lavorato molto bene. Noi lo sosteniamo…speriamo si decida.
3. Primarie: hanno visto approvato il regolamento venerdì 14 novembre in un’assemblea provinciale molto partecipata. Il nodo del contendere sono state le primarie per i consiglieri comunali, non previste nel regolamento, mentre lo sono per i consiglieri provinciali. Per il candidato a Presidente della Provincia, comunque, si dovranno fare le primarie. I vari emendamenti sulla possibilità delle primarie per i consiglieri comunali hanno avuto voto contrario dell’assemblea. La domanda, comunque, rimane. Chi si candiderà al Comune e come potrà farlo? Verrà dalle proposte dei circoli della città in quanto rappresentativi del territorio assieme ad altri che rappresenteranno gruppi, associazioni o entrambi? Oppure saranno indicate dall’alto? Anche su questo, ci sarà da discutere e da decidere. Penso sia importante avere voti per governare, ma sapere che ci sono persone con idee e proposte per questa città e sono disposte a mettersi in gioco per il bene comune in modo diverso dalle proposte populiste e chiacchierate di Menorello e amici, è più importante
4. Il PD, comunque, non può fermarsi al consenso, sarebbe decisamente troppo riduttivo per il futuro. La sua forza è di essere propositivo, espressione di una novità politica. E questo lo si può fare solo attraverso il confronto con chi è, nel suo ambito, disponibile e competente. Se parlo di scuola con un economista o un avvocato, si fa fatica a capirsi; se parlo di sport con un architetto…uguale, e via dicendo. Capire l’oggi per aprirsi al domani.

Cordiali saluti


Nereo Tiso

http://www.nereotiso.blogspot.com/.

Tremonti papista per convenienza parla di economia ed ...etica

Università cattolica di Milano, 19 novembre. Il ministro dell'economia tiene una sua rilfessione sulla situazione economica attuale e coglie l'occasione per citare la persona adatta, nel momento e nel luogo adatto, di fronte ad una platea, diciamo, sensibile. Il papa, dice Tremonti, predisse la catastrofe economica già nel 1985, giusto il periodo dove i rampanti yuppies iniziavano le loro scalate finanziarie e ,con la loro avida allegria, certamente non immaginando un possibile? Probabile? futuro come quello che stiamo vivendo ora. Ma dove sta il problema? Il nostro ministro che viene considerato un maestro di finanza creativa, dopo essersi convertito ad un sistema poco liberista e attento alle fasce più deboli, ha un'altra illuminazione e si posa sulle profezie dell'allora card. Ratzinger che parlava di una possibile implosione del mercato. Mi spiace per l'astuto ministro ma, forse, sarebbe opportuno dare maggiormente un'occhiata, prima di crogiuolarsi dietro alle citazioni dell'attuale papa, alla dottrina sociale della Chiesa e ai suoi documenti riguardanti la riflessione sull'economia, sul bene comune, sulla solidarietà. Per non andare troppo lontani sarebbe opportuno leggere il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. E poi, a dir la verità, i liberisti o neoliberisti puri (o quasi) che bisogno hanno di recuperare insegnamenti fuori dal mercato'? Forse si sono accorti che c'è qualcosa che non funziona e cominciano a stendere qualche velo pietoso sulle scelte di un sistema che mostra tutti i suoi limiti di fronte ai quali bisogna correre ai ripari? Cito solo una piccola parte del n. 564 del Compendio: "Le legittime esigenze dell'efficienza economica dovranno essere meglio armonizzate con quelle della partecipazione politica e della giustizia sociale. In concreto, ciò significa intessere di solidarietà le reti delle interdipendenze economiche, politiche e sociali, che i processi di globalizzazione in atto tendono ad accrescere". Penso che questo potrebbe essere un discorso da economisti, da politici di lungocorso che guardano al futuro facendo memoria di scelte spericolate e poco chiare. Forse, ministro, bisognerebbe dire pane al pane e vino al vino cercando di fare scelte importanti per chi, in questo momento, vede veramente buio davanti a sé, altro che le forbici!

giovedì 20 novembre 2008

In silenzio davanti alla vita e alla morte

Eluana Englaro...un nome e, purtroppo, una notizia, una sentenza, anzi, più sentenze. Un padre ormai frastornato, una madre..., un tribunale, dei giudici che giudicano e la gente che si divide attraverso beceri sondaggi on line, quasi si potesse prendere posizione a favore o contro: miserevole. Intanto lei è in silenzio, altri parlano per lei, non solo il padre; molti gli avventori dei media e del web che sembrano aver ascoltato le parole provenienti dal silenzio nel quale la ragazza vive. Ora la morte, la morte dei giusti tratta dalle righe di una sentenza lette in tribulane. Ora la legge!!! Ora il trestamento biologico!!!Tutti devono decidere della propria vita e della prorpia morte!!! Si urla. Ora, quindi, la vita passa nelle mani della politica che dovrà decidere fino a quando la vita sarà vita, dopo di che ci sarà la morte. Glii urlatori rimangano in disparte. Ma ecco un'altra parola, forte, alta: dignità. Ma cos'è la dignità della vita e la dignità della morte? Forse avremmo bisogno di un sondaggio; sì, un sondaggio d'opinione. Abbiamo opinioni su tutto: ma cosa sappiamo? O forse del diritto, o forse dell'etica. Ah! sì, l'etica, questa misteriosa e necessaria capacità di capire per giudicare, di riflettere per capire, di domamdare per sapere. Forse è troppo difficile: meglio lasciar perdere. Ma eccoci, noi tutti, che godiamo della vita, della nostra vita e che in forma alterna siamo giudici, padri e madri, politici e giuristi e forse moribondi per sentirsi veramente vicini e com-patire chi è moribondo, al suo fianco, non come un amico che ti ascolta, ma qualcuno che dà suggerimenti, che ha la risposta giusta ad ogni domanda; anzi! Si fa la domanda e si dà la risposta. Dall'altra parte il silenzio della vita e della morte, della non vita e della non morte che va verso l'ultima esalazione del soffio vitale. Ora che le luci si stanno spegnendo, e il frastuono delle voci sta scemando, lasciamo chi era in pace nella vita andare verso la pace eterna.

giovedì 30 ottobre 2008

Dove va la scuola…


Se qualcuno aveva ancora qualche dubbio, saprà che si sta parlando, anzi, urlando, di scuola. Purtroppo si è costretti agli straordinari per riuscire, con fermezza, a ribadire che la Scuola italiana, ha bisogno di vita e di vitalità e non di scelte che poco hanno a che vedere con la formazione delle future generazioni.
Stiamo assistendo a decisioni vessatorie contro chi frequenta la scuola come studente con il diritto di ricevere una formazione adeguata e come docente, che ha il dovere di formare. Certo è che il Decreto Gelmini N. 137, convertito in legge proprio ieri, 29 ottobre, porta da un’altra parte e cioè alla riduzione della possibilità di poter fruire di un servizio essenziale non solo per gli studenti, ma per l’Italia intera. La speranza è che l’Italia, appunto, non sia diventata grande solo per santi, poeti e navigatori ma che abbia la possibilità di diventare saggia, intraprendente, competitiva attraverso un sistema scolastico e universitario degno di questo nome.
La povera ministra Gelmini, messa a sedere dal “Distributore” di incarichi sulla sedia di quel ministero, è l’esempio lampante dell’ inutilità della sua presenza oltre (ma qui è in buona compagnia) che ad essere gravata dall’incompetenza. Mi chiedo: possibile che ci siano persone che non hanno la più pallida idea di cosa sia “Scuola” al Ministero dell’istruzione dell’Università e della ricerca? Possibile che non si riesca a capire che i decreti, usati come una scimitarra per tagliare drasticamente gli investimenti, mortificano tutto il mondo dell’istruzione, dell’Università e della ricerca, oltre, chiaramente, a delegittimare il Parlamento? E’ una ricetta che, davanti al dolore di una mano, taglia il braccio.
Si capisce che grembiuli e voti in condotta hanno il colore della beffa edulcorata di fronte all’intervento di riduzione massiccia degli investimenti e l’eliminazione drastica dei maestri, figure scolastiche di riferimento per i bambini, lasciando spazio ad un’ educazione costretta a riconoscersi solo in quella del libro Cuore e trovando i sostituti dentro lo schermo della TV in trasmissioni intrise di falsità e stupidità.
Purtroppo si parla solo di Decreto Gelmini, ma è la legge finanziaria, approvata in soli nove minuti, che mostra il futuro della scuola e dell’Università. In sostanza: se alla scuola primaria verrà ridotto i numero dei maestri, alla scuola superiore verrà aumentato il numero di alunni per classe, ridotto i numero di ore per settimana, accorpate le cattedre (cioè un insegnate potrà insegnare più materie diventando così “esperto in tutto”); alle Università sarà ridotto il turn over (due nuovi docenti per dieci pensionati), saranno ridotti i trasferimenti ordinari. Che cosa dovremo aspettarci ancora?
Certo è che qualcosa, comunque va modificato, anche radicalmente e lo si deve dire ad alta voce, senza timore, discutendolo tra competenti in grado di parlare di scuola, di Università, di ricerca non utilizzando esclusivamente il metro economico, ma investendo per educare e formare donne e uomini che saranno in futuro capaci di affrontare un modo che cambia radicalmente e repentinamente. Pertanto si dovranno sostenere le eccellenze, senza dimenticarsi di quelli che faticano o hanno delle disabilità; si dovranno formare nuovi docenti, preparati, che si dedichino con passione e competenza alla scuola, mettendo in grado gli altri di stare al passo; si dovrà riorganizzare il sistema scuola eliminando gli sprechi senza tagliare gli investimenti; si dovranno perseguire le “baronie” e i furbi dei concorsi truccati facendo sì che la stragrande maggioranza che fa seriamente ricerca e lavora per costruire e non per deteriorare l’Università, di poter vedere garantiti investimenti necessari alla loro opera per la crescita culturale, scientifica e tecnologica dei giovani e del Paese.
Ci si chiede quindi quale scuola e quale Università abbiano pensato i nostri governanti. Forse alle tre I (impresa, informatica e inglese) andrà a sommarsene un’altra: quella di Imbecillità, garanzia di silenzio e sottomissione.


Nereo Tiso

lunedì 13 ottobre 2008

I cattolici al tempo del PD

13/10/2008

di Rosy Bindi -
da L'Unità -

Il ruolo della religione nella società contemporanea è tornato con forza al centro del dibattito culturale e politico. I recenti interventi di Benedetto XVI, sulla laicità nel viaggio apostolico in Francia e sui rapporti tra Stato e Chiesa pochi giorni fa al Quirinale, hanno rilanciato la riflessione sul rapporto tra fede e politica. Un discorso che va ben oltre la "questione cattolica", intesa come un capitolo della storia d'Italia che si dipana da Porta Pia fino alla Dc e oltre, e rinvia piuttosto al tema più profondo - tutt'altro che estraneo allo sconquasso a cui stiamo assistendo della finanza mondiale - del deficit etico delle nostre democrazie. Un deficit che il fattore religioso può contribuire a colmare a patto di superare la tentazione, in cui cadono credenti e non credenti, di usare la religione come un surrogato, un riempitivo del vuoto creato dal tramonto delle ideologie del Novecento. Sono invece convinta che una nuova laicità possa restituire chiarezza e nuovo senso al rapporto tra fede e politica.Anche per questo non credo si possa archiviare o deviare il compito del cattolicesimo democratico, quel movimento che ha permesso di riconciliare i cattolici italiani - e in qualche modo anche la Chiesa - con la modernità e la democrazia. Grazie ai cattolici democratici la laicità si afferma come metodo della politica, e nella Costituzione il rapporto tra verità e libertà, valori e consenso permette di superare lo iato tra democrazia formale e democrazia sostanziale. La storia di questo movimento non coincide con quella della Dc, anche se ne ha incarnato le fasi più avanzate, le personalità più scomode e creative. E non è un caso se l'esperienza dell'Ulivo affonda le proprie radici nell'orizzonte culturale del cattolicesimo democratico. Oggi si tratta di capire come spendere questa eredità nel Pd per riconciliare i cattolici italiani con il bipolarismo e rendere nuovamente feconda la loro presenza per il futuro della democrazia. Molte analisi sul risultato elettorale si sono concentrate sul voto cattolico. I cattolici, è stato detto, questa volta non hanno scelto in base all'appartenenza, hanno votato per tutti i partiti anche se in maniera predominante si sono riconosciuti nell'offerta di Berlusconi. Dobbiamo ancora capire le ragioni profonde di un voto che ha premiato la paura invece della speranza, l'apparenza invece della coerenza e che mai prima d'ora ha contribuito a spingere a destra l'asse politico del paese.Non mi convince chi, come Tremonti e D'Alema cerca spiegazioni nel risveglio di uno spirito integralista che avrebbe fatto da collante intorno ai valori di Dio Patria a Famiglia. Nel dialogo sul peso delle religioni, insieme ad una non scontata ammissione che la fede non è confinabile alla dimensione privata, si avverte ancora la persistente difficoltà di una certa cultura laica a superare un'idea di religione come espressione di una sorta di "preistoria dell'umanità", in conflitto con la libertà, la ragione, la scienza. E la Chiesa sembra apparire ancora come un potere che attenta alla modernità e alla laicità dello Stato. E' visibile in questa impostazione l'eco di una politica che tende a stabilire con le gerarchie un rapporto pattizio e guarda all'elettorato cattolico in modo opportunistico. Ma sbaglia anche chi, come Rutelli, immagina di agganciare quello stesso elettorato presentandosi come unico interlocutore affidabile delle gerarchie. Dopo la breve esperienza dei teodem, con cui ha separato i cattolici dai cattolici innestando nella Margherita un'enclave integralista, ora rilancia la vecchia tesi della trasversalità cattolica e sotto le insegne di una nuova associazione mette insieme Bobba, Casini e Lupi. La "moderna laicità" di Rutelli ha in realtà un volto vecchio, quello gentiloniano della strumentalità con cui spesso sono stati utilizzati i cattolici in operazioni politiche di stampo moderato.Per il Pd, la ricerca di nuove alleanze politiche, necessaria a costruire l'alternativa al governo Berlusconi, esige di rafforzare e non snaturare il profilo ideale e programmatico del partito. Così, invece, si minano le ragioni fondative del Pd: dar vita a un partito nuovo, laico e plurale, capace di tenere insieme credenti e non credenti in un unico progetto di innovazione della politica e della democrazia.
Il cantiere democratico è ancora aperto. E i cattolici che hanno scommesso fin dal '95 nell'Ulivo non possono farsi né da parte, coltivando formule alternative, né da un lato, dando vita all'ennesima corrente.A cosa serve il richiamo all'identità su cui fanno leva gli ex popolari riuniti ad Assisi? Anche questa mi pare una scelta strumentale. Il richiamo alla cultura cattolico democratica, accreditando per giunta l'idea di averne il monopolio, diventa la credenziale per formare una corrente. Col risultato di farlo guardando al passato, a come eravamo, e non a come dobbiamo essere oggi, democratici e mescolati agli altri eventualmente in una corrente, ma in nome del progetto politico e non delle appartenenze. Di separatezza in separatezza il passo verso l'irrilevanza culturale, anche se mascherata dalla possibilità di contrattazione politica, è davvero breve.La scelta non può che essere quella di tornare al progetto e alla proposta. Nel dna dei cattolici democratici ci sono la laicità dello Stato e la lotta alle ingiustizie e i temi su cui offrire il nostro contributo non mancano. Penso alla necessità di regolare il mercato e riaffermare il primato del lavoro umiliato dall'economia delle transazioni finanziarie. Alla qualità della democrazia, alla difesa della Costituzione e della legalità. La nostra laicità è la garanzia di una corretta distinzione dei poteri, contro gli strappi alle regole e la prevaricazione del Parlamento. Penso ad una nuova cittadinanza, aperta e accogliente anche verso gli stranieri. L'intolleranza che la Lega e la destra alimentano, utilizzando in modo blasfemo il cristianesimo come un baluardo a difesa dell'identità italiana o più semplicemente veneta o lombarda, è un veleno che produce violenza e razzismo e non possiamo neutralizzarlo affidando le nostre ragioni solo agli editoriali dell'Osservatore romano e Famiglia cristiana. E penso alle sfide della bioetica, che ormai coinvolgono con mille contraddizioni e interrogativi la vita quotidiana di ognuno di noi. Non ha alcun senso contestare il diritto della Chiesa ad esprimersi, è invece molto più utile che credenti e non credenti imparino a confrontarsi, senza reciproche scomuniche, nella ricerca nel bene possibile, nella difesa della dignità e libertà della persona umana.Basterebbe insomma riprendere con coraggio e speranza la lezione dei nostri maestri. Ricordo, tra tutti, gli ultimi che ci hanno lasciato, Pietro Scoppola e Leopoldo Elia. Una lezione di dialogo, contaminazione culturale, libertà intellettuale. Una lezione di nuova laicità.

giovedì 9 ottobre 2008

Tra etica economia e finanza

Nereo Tiso
Non so se leggo male, ma in questi giorni in cui si sta vivendo una delle più importanti crisi finanziarie della storia, si ricomincia a parlare di etica in economia; un rapporto visto finora da parte di molti come un ossimoro. A dare voce alla necessità dell’etica applicata all’economia quale strumento di riflessione troppo spesso nascosto in dotte discussioni accademiche, non sono i soliti estremisti e anticapitalisti, ma uomini dell’alta finanza, che cercano di analizzare situazioni difficili come questa preoccupati, almeno così dicono, ma non allarmati. Sottolineare il passaggio dal laissez faire tipico del mercato; passare dalla deregolamentazione ad una situazione maggiormente virtuosa, mostra come grandi economisti e banchieri, con un liberismo che segna il passo per aver chiuso gli occhi davanti all’evidenza di una finanza sempre più spinta all’eccesso, cerchino una soluzione che non sia solo un’apertura di credito senza condizioni verso il mercato, ma un tentativo di aprire nuovi spazi perché si possa discutere di economia e finanza in maniera diversa. Cosa c’entra l’etica? L’etica, come sappiamo, pone delle condizioni di rispetto delle regole, anzi, è regola essa stessa che, in economia, guida a scrutare l’orizzonte dell’esasperazione del profitto per ricondurre alla giusta coscienza gli operatori perché questi possano utilizzare strumenti economicamente efficaci ed eticamente possibili. Lasciare che il mercato si autoregoli immettendo in esso maggiore libertà come sosteneva von Hayek, fa crescere più la mediocrità dello stesso e dei suoi operatori. Infatti i recenti fallimenti dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’amore esagerato verso questo sistema di mercato in uno stato quasi contemplativo è prova di “infantilismo e debolezza culturale” (G.Amato, SOLE 24 ORE, 5 ottobre 2008). Aggiungere anche delle convinzioni morali alla legge/non legge del mercato, a questo punto, non si può più essere ridicolizzati come sosteneva Friedman, ma non può che essere visto come la costruzione di una maggiore solidità economica oltre che morale, appunto. Bisogna pertanto riconoscere che l’etica non crea delle difficoltà all’economia e non impedisce al mercato di essere se stesso, di crescere e svilupparsi, ma ne è un valore aggiunto nel panorama talvolta fosco delle transazioni economiche e della loro folle corsa verso una massimizzazione dei profitti anche quando questi è evidente, che non possono che essere delle entità virtuali e non virtuose. Non è solo la valutazione dei rischi nello spostamento di capitali, ma il riconoscimento che il rischio maggiore è quello di non preoccuparsi che i comportamenti esasperati possono indurre molti milioni di persone con pochi strumenti economici, culturali e sociali a trovarsi in situazioni di disperazione e vedere davanti a sé un oceano aperto da dover affrontare con scialuppe di salvataggio malmesse. Le colpe, com’è evidente, non sono e non possono essere del mercato in sé, ma di coloro che ne fanno uno strumento imprigionato in logiche perverse di inciviltà economica intonando il refrain delle palesi ed esclusive virtù delle transazioni economiche e finanziarie lasciate a se stesse. Tutto ciò all’interno di un sistema globalizzato il quale, senza dare giudizi di merito, è sempre più spinto a superare i suoi limiti e qualsiasi regola stabilita da qualsivoglia Stato. Se le norme vengono emanate dai parlamenti, la globalizzazione le supera, va oltre gli stati che sembrano impotenti di fronte alla sua irrefrenabile corsa e alle sue infinite possibilità e opportunità. Tutto qui? Certamente no! Infatti, in questo mercato di capitali virtuali globalizzati e in movimento, succedono catastrofi nelle quali, per poter evitare danni peggiori, interviene ancora una volta lo Stato di cui il mercato farebbe volentieri a meno ma, evidentemente in casi di gravi difficoltà, ne accetta di buon grado gli aiuti. Ingenti iniezioni di denaro, certamente non virtuali, sottratte alle risorse raccolte per essere ridistribuite tra tutti vengono assegnate per sanare drammatiche falle. A questo punto, se il ritorno all’etica dell’economia è diventato un nuovo segnavia, è da pensare che la stessa economia di mercato, lo stesso capitalismo, riconoscano il loro insuccesso nell’essersi allontanati dalla riflessione morale pensandola superflua, di ostacolo e, molto probabilmente, con poco senso. Con buona pace della “mano invisibile”. O forse si vuole speculare anche sull’etica? Ma qui c’è ben poco da guadagnare…

mercoledì 1 ottobre 2008

DIVIETI E RESPONSABILITA'

FACOLTA’ TEOLOGICA
- Diocesi di PADOVA -
FORMAZIONE SOCIALE E POLITICA 2008-2009
GIORNATA DI APERTURA


Prendo spunto per iniziare la mia breve riflessione dall’articolo del prof. Antonio Da Re riportato di recente dal Mattino di Padova:

“Nessuna ordinanza riuscirà a sopperire alla mancanza di senso civico, di rispetto del vivere comune, di rispetto dei beni altrui e pubblici, di tolleranza reciproca”.

La riflessione che dovremmo fare di fronte alla precisa affermazione di Da Re, non può che interrogarci sulla distanza che c’è tra un divieto, la sua applicabilità e la possibilità che questo possa contribuire al senso civico oppure rimanga solo un fatto meramente coercitivo. Pertanto, ci si interroga su quali possono essere i confini e i limiti della politica e come l’etica può essere una premessa forte per la politica stessa.
Ma allo stesso tempo, gli interrogativi di fronte alle scelte della politica, all’inciviltà dei molti e alla difficoltà della realizzazione e della comprensione del valore e del senso del bene comune che mettono il politico di fronte a una responsabilità forte, non possono esimerci dal valutare come il senso civico esiga una sfida e debba essere costruito, difeso, sostenuto dal politico stesso; senza tentennamenti e in maniera coerente. Quali infatti, i comportamenti dei politici dal momento in cui passano dal solo interesse per il bene proprio e della propria famiglia al bene della comunità alla quale sono stati chiamati per governarla?
Domande importanti che inquietano, ma che spingono alla riflessione e l’approfondimento di comportamenti che possono e devono essere corretti dalle norme, ma che hanno anche l’obbligo di costituire quel senso civico che parte integrante del bene comune.
In sostanza che senso ha l’ordinanza, o i vari divieti che mettono in gioco la fantasia dei sindaci (A da Re) o dei legislatori per cercare di dare delle risposte a breve ai cittadini se, allo stesso tempo, non esiste un’adeguata azione per costruire l’educazione al comportamento corretto nel senso più ampio possibile?
Sappiamo che le risposte costruite attorno solo a modelli repressivi dei comportamenti, non creano la società buona. Nella società buona, convivenza, tolleranza, inclusione e non esclusione, integrazione e non assimilazione, diventano elementi fondanti, valori ai quali indirizzare il sistema educativo delle nuove generazioni.
Ed è l’autorità politica che, operando per il benessere del corpo sociale, con la responsabilità primaria del bene comune, ha il dovere di governare il presente pensando al futuro di quelle nuove generazione che, a loro volta, saranno generatrici di valori se saranno educate ad operare e a vivere in tal senso.
Essa ha ricevuto il mandato dai cittadini e ha l’autorità per farlo; ha la responsabilità del governo e di rispondere ai bisogni, anche educativi dell’oggi senza mai dimenticare il futuro, la bontà della società alla quale deve aspirare.
Tutto ciò ascoltando anche i corpi intermedi che operano direttamente tra la gente e sono attenti alle situazioni e possono aiutare la politica a costruire quell’éthos condiviso e non individualista per raggiungere l’obiettivo di una società, di una città ricca, capace si pensare al bene di domani perché l’oggi è già terminato.
E quindi la politica ha bisogno di trasparenza perché tutti possano vedere; ha bisogno di progetti perché si conoscano percorsi e obiettivi di governo; ha bisogno di condivisione, per non rimanere completamente isolata; ha bisogno soprattutto di donne e di uomini imperfetti, ma responsabili delle scelte e delle aspirazioni al servizio per la realizzazione del vivere civile, uno dei fondamenti del bene comune.
La politica, pertanto, come speranza di cambiamento e di miglioramento di una società civile nella quale molti sono i fermenti di inciviltà.

Cito due politici: uno di ieri e un altro di oggi

La Pira: “Si sa, la speranza, in certo senso, è un’avventura e un rischio: ma forse che, per il rischio di perdere la semente, il contadino non provvede alla semina?”


Vannino Chiti: “La politica deve saper individuare, capire e nei limiti del possibile rimuovere le ragioni dell’angoscia. Deve catturare la scintilla della speranza e alimentarla per fondare il coraggio e sostenere il dovere dell’impegno”


Nella speranza, l’etica e la politica guardano il futuro unificate dal dovere della responsabilità per l’impegno che il politico assume come ragione prima e ultima della sua scelta.


giovedì 28 agosto 2008

“LA VITA BUONA NELLA SOCIETA’ ATTIVA”

Libro Verde sul Welfare e qualche nota del pensiero sociale della Chiesa
mancanze e contraddizioni
di Nereo Tiso
Leggendo il Libro Verde quale proposta di trasformazione del Stato Sociale del ministro Sacconi, molti sono gli spunti di riflessione e di interesse e molte le evidenti note distorte accompagnate da patetici e compassionevoli moralismi. Mi soffermerei ad analizzare, seppur in breve, alcune questioni riportate nel testo ministeriale di 24 pagine alla luce del documento della Commissione ecclesiale Giustizia e Pace della CEI “Stato sociale ed educazione alla socialità” del 1995, momento storico-politico di grandi cambiamenti e trasformazioni. Qui non si vuole tirare per la giacchetta i vescovi, ma sottolineare come, leggendo i documenti, anche chi deve governare legittimamente vantandosi di un legame solido col pensiero della Chiesa (alcune frasi del LV lo richiamano), potrebbe certamente essere più accorto e non cadere in continue, evidenti e gravi contraddizioni che non si traducono in fatti positivi per i cittadini. Anzi!
Nel Libro verde spesso si parla di “centralità della persona”. Sarebbe interessante capire quale persona si intende dato che di immigrati nel medesimo testo del Ministro, se ne parla molto poco; anzi, per nulla. La dottrina sociale della Chiesa ha come suo cardine la centralità della persona, di qualsiasi persona senza alcuna distinzione, e il suo sviluppo integrale che riguarda ogni momento della sua esistenza durante il quale conseguire quella dignità che non può mai essere dimenticata. Immigrati e nomadi compresi. Scrive il documento ecclesiale subito nell’introduzione: “Il pericolo più grande oggi è quello di limitarsi ad interventi frammentari e contingenti, invece di affrontare la crisi nella sua complessità. Non si può costruire una comunità più giusta per tutti senza un disegno organico né un progetto di Stato e di società, senza una visione chiara e integrale dell’uomo”.
Altro aspetto interessante del documento è come la Chiesa definisce lo Stato sociale: “…si intende quella convivenza umana che si struttura su tre principi fondamentali, tra loro inscindibili: la sussidiarietà, la solidarietà e la responsabilità”. Nel libro verde pur parlando di sussidiarietà a partire dalla famiglia, dai corpi intermedi, il termine solidarietà viene citato solo quattro volte quando si parla si convergenza tra mercato e solidarietà per dei nuovi stili di vita, bisogno degli ultimi, legato alla sussidiarietà e di solidarietà generazionale. La quasi assenza del termine crea qualche disagio. Sarebbe interessante capire come il ministro arrivi a coniugare la solidarietà anche ai diritti delle persone, di tutte le persone, alla giustizia sociale, alle uguali opportunità ecc.. Essa infatti, come diceva Giovanni Paolo II, è “la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia per i bene di ciascuno, perché tutti siamo responsabili di tutti”. Ma la nota pastorale aggiunge alcune indicazioni concrete per la solidarietà:
- doveri di solidarietà collegati al riconoscimento dei diritti
- proporre norme di libertà a sostegno di ciascuno
- l’equa redistribuzione del reddito
- libertà di scelta familiare
- diritto al lavoro
- libera iniziativa economica
- diritto alla salute, alla previdenza e all’assistenza
- diritto alla rappresentanza politica

La nota dei vescovi sottolinea anche quando lo Stato sociale tradisce i suoi obiettivi:
- invece di sviluppare imprenditoria, tende a privilegiare i mercanti di capitali
- invece di sostenere il lavoro e di favorire la ripresa, agevola l’accumulazione di alcuni grandi gruppi
- permette che si stabilizzi la sperequazione tra i lavoratori dipendenti e autonomi, consentendo a larghe fasce di sottrarsi ai doveri fiscali, previdenziali e sociali

In conclusione la nota ecclesiale afferma che “lo Stato sociale è da realizzarsi nella sua interezza, tenendo conto della società nella quale siamo inseriti: una società che si avvia ad essere sempre più multiculturale, multirazziale e multireligiosa”.

Su questo ultimo punto “società multiculturale, multirazziale e multireligiosa” . come si diceva, non esiste un solo accenno. Forse è stata una dimenticanza o una chiara scelta di coalizione? Senza questa attenzione viene a cadere, in un certo senso, tutto ciò che è stato detto sulla centralità della persona, sulla solidarietà, e anche, possiamo dire, sulla sussidiarietà di tipo orizzontale e verticale. Quasi che gli immigrati esistano solo per le forze dell’ordine e non anche per l’integrazione dei figli nelle nostre scuole, come lavoratori che contribuiscono in modo non indifferente alla ricchezza italiana (e al sistema contributivo -pag. 14 Libro Verde- che aiuta la previdenza a non entrare definitivamente in crisi) e, non ultimo, come persone che si ammalano e che necessitano di assistenza sanitaria oltre che di educazione alla prevenzione. Non sono solo un problema sociale.

Altra contraddizione. A pag. 13 il Libro Verde parla di “nuove politiche redistributive che non si limitino ad erogare sussidi di tipo risarcitorio o assistenziale”. La social card va proprio in questa direzione (tra l’altro assegnata solo agli italiani); la nota dei vescovi afferma che Il pericolo più grande oggi è quello di limitarsi ad interventi frammentari e contingenti. Mi sembra che le scelte del Ministro sia in questo senso.

Sarebbe interessante anche capire da dove arrivano se le risorse per il nuovo Stato Sociale. Si legge pag. 20 c.v. 7: A differenza che nel caso delle pensioni e della sanità, negli altri comparti della spesa sociale non è necessario ridurre la dimensione del comparto pubblico. Questo va ancora a ridurre le risorse per la sanità e per le pensioni quando la si vuole aprire ad un’attenzione maggiore, ad una riqualificazione e ad un migliore riordino economico. Intanto, così si consente, come dice la nota dei vescovi, a “larghe fasce di sottrarsi ai doveri fiscali, previdenziali e sociali”. Probabilmente l’evasione fiscale e previdenziale è diventata un dettaglio. Dobbiamo aspettarci un altro condono? A tal proposito mi sembra corretto citare la nota Educare alla Legalità del 1991 al n. 9: Anche la classe politica, con il suo frequente ricorso alle amnistie e ai condoni, a scadenze quasi fisse, annulla reati e sanzioni e favorisce nei cittadini l’opinione che si può disobbedire alle leggi dello Stato. Chi si è invece comportato in maniera onesta può sentirsi giudicato poco accorto per non aver fatto il proprio comodo come gli altri, che vedono impunita o persino premiata la loro trasgressione della legge

Penso che il documento della Commissione Giustizia e pace sia stato e sia ancora profetico in materia di Stato Sociale, affermando tra l’altro, che oltre alle necessità economiche per il welfare, ci sia una forte necessità educativa, senza la quale si pensa ad un futuro già “monco”. Chiaramente il pensiero sociale della Chiesa è ricchissimo rivolto innanzitutto ai cattolici, ma non solo.
Forse un chiarimento sarebbe quanto meno opportuno, almeno da parte dei cattolici al Governo.

lunedì 25 agosto 2008

Viaggio Turchia-Siria Agosto 2008

Da mesi ci stiamo preparando per questo viaggio. SDecidiamo di andare da soli, noi quattro: il sootoscritto assieme a Stefania, mia moglie, a Marco e Andrea, nostri figli di 18 e 14 anni. La solitudine, in questi paesi, talvolta può non essere amica, ma la compagnia può dare dei risultati peggiori. Quindi...

Molti dubbi ci assalgono soprattutto dopo l'attentato ad Istambul, una delle tappe del nostro viaggio. All'inizio il viaggio prevedeva anche la Giordania, ma tempi e figli ci inducono a "ridurlo", se vogliamo usare un eufemismo, solo a Turchia e Siria.

Partiamo quindi il 3 agosto 2008 alle 3.37 del mattino; non senza trepidazione ma molto decisi ad affrontare il lungo cammino del quale ci siamo molto documentati, ma pervediamo non sarà sufficiente.

Il nostro mezzo è un Volkswagen multivan con tenda maggiolina sul tettuccio. Alla fine quattro posti letto: due nella tendina e due all'interno dell'auto che li prevede di serie. Cerchiamo anche di essere autonomi come vivande visto che il nostro budget è sempre limitato.

Il primo giorno, dopo 1200 Kilometri, dopo quattro frontiere non sempre agevoli, arriviamo a Sofia verso le 19. Fatichiamo a trovare il poco edificante campeggio Vranja (prima di entrare a Sofia prendere direzione Istanbul; alla superstrada per Plovdiv girare a dx per Sofia; il campeggio si trova dopo due Km, a dx, un po' nascosto; costo 30 euro in 4)

4 agosto: partenza per Istanbul Km 590: arriviamo ad Istambul e raggiungiamo il Camping Londra con l'aiuto di un taxista. E' un parcheggio per camper (ne osptiava 5, tutti italiani) con bagni e docce calde. Possiamo dire decente a 25 euro al giorno). Il signore della reception è gentile e parla un po' d'italiano. Ci accompagna alla metro che si trova a 300 metri dal camping e ci rechiamo a Istambul centro che con Stefania avevamo già visitato nel 2007. Visitiamo ancora la meravigliosa moschea blu nonostante due pessimi pannelli luminosi all'ingresso e nel giardino Facciamo una breve passeggiata e andiamo a cena in uno dei tanti ristorantini (Euro 7,50 ciascuno). Siamo stanchi ma contenti e pensiamo al giorno dopo.

5Agosto Istanbul: visitiamo Basilica cisterna, Santa Sofia, i bazar delle spezie con i loro profumi e il Gran Bazar con l'infinito numero di negozi dove si trova qualsiasi cosa. Purtroppo il palazzo Topkapi è chiuso per una festa: peccato per i figli. Ma vediamo il porto, la Moschea di Solimano. Una giornata intensa.


6 agosto Istambul-Goreme Km700: partiamo per la Cappadocia e ci immettiamo nel caos di Istanbul. Attraversiamo il ponte sul bosforo e siamo in Asia. Corriamo tranquillamente sull'autostrada che percorre l'altopiano anatolico che cambia colore continuamente. Si vedono grandi zone pressocché desertiche, città, fabbriche, campagne nelle quali vivono contadini nomadi alloggiati in tende. Arriviamo a Goreme nel primo pomeriggio e rimaniamo affascinati dal paesaggio. Ci sistemiamo nel bel camping Goreme con piscina. Ci riposiamo guardando il meraviglioso tramonto.






7 agosto Goreme: con un piccolo pullmino organizzato (25 YTL= 13 euro a testa) facciamo un interessante giro per tutta la Cappadocia: Città sommersa, valle di Ilara, panorami vari, pranzo e immancabile visita ad una fabbrica di gioielli con pietre preziose e di onice: prezzi decisamente fuori dalla nosra portata.

8 agosto Goreme: decidiamo di fermarci per un'altra notte perché il luogo merita un giorno in più. Visitiamo il museo all'aperto con le chiese rupestri perfettamente conservate con in alcune, i suoi meravigliosi affreschi. Stupendo. Visitiamo anche un castello ricavato nel tufo. Incontriamo un giovane italiano che da Cantù si è trsaferito in Turchia ad organizzare viaggi per "turisti responsabili": personaggio interessante.

9agosto Goreme-Aleppo Km 500 : partiamo consci del paese che andremo a visitare. Arriviamo alla frontiera turca e, dopo quattro controlli passiamo a quella siriana. Sicuramente molto bella esternamente ma dentro, le questioni burocratiche sono complicate e la abbruttiscono. Paghiamo 232 $ per tassa di ingresso, tassa diesel, assicurazione più 20 Euro al funzionario che ci ha aiutato. Dopo solo 20 Km. ci imbattiamo nella deviazione per il camping Kaddoun che alcune altri viaggiatori avevavo indicato come non buono. Prima di arrivare al Camping Kaddoun, ci imbattiamo nel Camping Salam vicino a ad un meccanico: un meraviglioso giardino con bagni e docce pulite, una signora belga che lo gestisce assieme al marito siriano, guida turistica (950 Sterline=12 euro circa per due notti). Ci offrono il thé. L'impatto con la Siria è veramente piacevole.
10 agosto Basilica s.Simeone-Aleppo: si indicazione del gestore del Camping, arriviamo alla Basilica di S.Simeno stilita. Un personaggio che nei primi secoli del cristianesimo decise di vivere sopra una colonna. Torniamo al campeggio, parcheggiamo la macchina e prendiamo un minibus (basta mettersi sulla strada e alzare la mano al passaggio). Andimao ad Aleppo. Città particolare: con il suk, la Cittadella che si innalza sulla sommità della città. Fa molto Entriamo nella bellissima moschea della città vecchia e a Stefania per entrare fanno indossare un lungo abito con cappuccio. Il marmo del pavimento del cortile della mosche è bollente tanto che si doveva saltare (o quasi) per non bruciarsi i piedi. Usciamo dalla moschea pranziamo in ristorante per poche lire siriane. Usciamo dalla città vecchia e dal suo suk, riprendiamo il pullmino (dolmus) e torniamo al campeggio.
11 agosto Aleppo-Apamea-Crak de Chevaliers-Palmyra Km 600. Partiamo verso Apamea con le indicazioni del sig. Mohamed del campeggio di Aleppo(strada verso Damasco, uscita Addra poi indicazioni Apamea). Saltiamo l'uscita ed entriamo nella successiva. Manca ogni rifeimento in lingua inglese e l'arabo-siriano diciamo che è proprio arabo. Comunque q gesti e qualche parola in inglese (neanche i giovani lo parlano) arriviamo ad Apamea. Meravigliosa. Nel suo massimo splendore possedeva 5000 elefanti da guerra, 15 cavalli. La via principale era lunga due Km. Il caldo è torrido e bneviamo in continuazione. Ci imbattiamo in una coppia italiana in moto, da Venezia: parlavnao la nostra lingua. Diciamo che in questo posto eravamo loro, sotto l'unico albero, noi e il bigliettaio
Da Apamea andiamo alm grande castello Krak de chevaliers: esternamente ben tenuto, ma dentro molto sporco. Comunque imponente.
Ci avviamo verso Palmyra. Attraversiamo il deserto siriano verso l'Iraq (i cartelli stradali erano eloquenti) emolti sono i siti militari ma mai nessun problema: arriviamo all'imbrunire. Cerchiamo l'albergo Zenobia che ha un spazio per posteggiare. E' buio quando entriamo. L'albergo sitrova ai bordi del sito (entrai in Palmyra girare a destra verso gli scavi. Dopo 500 metri, ultima costruzione sulla dx) ed è stupendo. Incontriamo altri italiani in jeep che stavano andando in Giordania: molto più stanchi di noi e con l'imprevisto. Erano usciti dalla pista per entrare nel deserto: bloccati dalla polizia, multa, qualche ora persa, multa e foto del deserto cancellate /i furbi!!!) Non è molto caro (2 notti 500 sterline: 6 euro circa). Stanchi, ceniamo al ristorante dell'hotel con 15 euro circa.
12 agosto Palmyra-Damasco km 230. Visitiamo Palmyra. Stupenda, continuamente ristrutturata con il grande tempio ed il teatro ancora in uso. Era via caravoniera che si trovava sulla famosa via della seta. Per entrare al mercato, i mercanti dovevamo pagare un dazio. Davanti al templio di Baal troviamo una guida siriana che parla italiano. Ci conduce per tutto il sito e ci porta anche alle tombe del II^ secolo d.C. nelle quali possiamo entrare. Ci costa 35 euro. Fa un caldo torrido e secco: continuiamo a bere come spugne.
Poi arriviamo in centro a Palmyra: comperiamo del cibo e via verso Damasco attraverso il deserto (ovviamente corriamo sull'asfalto).
Nel primo pomeriggio arriviamo a Damasco al campeggio New Kaboun Kamping che si trova: provenendo dalla superstrada, all'ingresso di Damasco c'è un mosaico dei Saddat padre; si gira a destra e dopo duecento metri ci sono le indicazioni. E molto buono: troviamo italiani in camper e una famiglia da S.Pietroburgo, in macchina, "ovviamente".
Immediatamente prendiamo un taxi che ci accompagna alla porta di S.Paolo. Entriamo nel quartiere cristiano e, a dir la verità, in quel posto non ci sembra di essere in un paese arabo. Le donne e le ragazze sono vestite all'occidentale (seppur non scollacciate o com ombelichi evidenti); ci sono nicchie nelle case con statuette della Madonna croci un po' dappertutto. Andiamo a visitare il quartiere cattolico, Armeno (con la chjiesa chiusa); visitiamo la casa di Anania, il sacerdote che battezzò san Paolo; passeggiamo con calma per il quartiere.
Ci beviamo uno straodinario succo di frutta fresco ed entriamo in piccolo negozio di alimentari nel quale il commesso ci serve con assoluta cortesia e parlando un ottimo inglese .
Torniamo in campeggio e, dopo una salutare pastasciutta e quattro chiacchiere andiamo a letto






venerdì 11 luglio 2008

La PIAZZA-TA e il Partito Democratico




La notizie arrivate dalla manifestazioni dell’altro giorno a piazza Navona lasciano quanto meno sconcertati. Un raduno per dimostrare la contrarietà alle scelte del Governo, a Decreti legge rincorsi con velocità inaudita per sistemare certe posizioni personali arrivando ad allontanare il giusto giudizio al quale il nostro Primo Ministro dovrebbe sottoporsi alla pari degli altri cittadini; a norme identificative dei bambini rom che lasciano il tempo che trovano dato che sembrano più una trovata etnicamente orientata di scarso effetto sulla sicurezza e, tanto meno, sul problema dei rom che è molto più complesso e che, comunque va risolto. Un orientamento, quello del Governo, criticato dalla Chiesa e sonoramente bacchettato anche dalle Istituzioni europee con accuse pesanti di razzismo e che sta creando non poche tensioni e reazioni scomposte. Le giuste ragioni, delle quali la piazza era portatrice, sono state, purtroppo, palesemente nascoste da un pessimo risvolto: si è scaduti nella volgarità più bieca, nell’insulto generalizzato contro, oltre al governo e ai suoi ministri (una in particolare) anche contro il Presidente della Repubblica e il Papa. Di saltimbanchi siamo pieni, ma questi dovrebbero almeno divertire senza annegarsi nello squallore come hanno fatto i due maggiori protagonisti di Piazza Navona. La verità va proclamata, anche ironicamente, la satira è segno di democrazia, la volgarità, invece fa scadere in basso chi la pronuncia, anche se strappa applausi. Il Governo si giudica nel merito delle scelte politiche, con forza e determinazione, senza tentennamenti, presentando progetti significativi e forti per il bene comune e in particolare per i molti cittadini e le loro famiglie che si trovano in serissima difficoltà (stipendi fermi da 15 anni) . Le volgarità di chi giustifica particolari comportamenti e ammiccamenti e si trova oggi a governarci, non deve essere sottolineata con altre volgarità e il rapido “percorso politico” della ministra Carfagna pone certamente una serie di perplessità, ma da questo all’offesa personale ce ne corre. La speranza è che lavori per le pari opportunità…anche degli altri. Ma abbiamo ancora bisogno di questi piazzisti? La piazza è importante perché mostra attenzione, partecipazione, sensibilità; essa vuole farsi sentire, dimostrare che i cittadini hanno qualcosa da dire. Bene ha fatto, comunque, il Partito Democratico a smarcarsi da un tale squallido sensazionalismo, costruito ad arte anche se non pochi presenti hanno manifestato un profondo disagio se non disgusto. Purtroppo per loro, troppo in ritardo. Bene ha fatto anche perché ora non c’è bisogno di questa piazza, ma di ricomporsi, innanzitutto a partire dalla sua gente. Progettare, conoscere, riconoscere esperienze e capacità anche dei semplici elettori in una sorta di partecipazione attiva e progettuale all’interno del Partito Democratico. In sostanza valorizzare le competenze per costruire una fase nuova, di contenuti (la gente, gli elettori, cominciano a spazientirsi), di proposte politiche per riappropriarsi del legittimo entusiasmo iniziale incalzando il Governo preparandosi per gli impegni a breve che dovrà affrontare. Il lavoro non manca e al riposo ci penseremo, ma le categorie con cui pensare vanno rivedute: operare oggi facendo memoria del passato, ma proiettati verso il futuro. La necessità è di essere continuamente in movimento, aperti e rinnovabili. Tutto ciò in un momento in cui, come sette anni or sono, la storia politica si ripete e la strategia è quella di controllare un sistema legislativo in ragione dell’autorità conferita dagli elettori. L’azione governativa, a tale proposito, si rivela efficace e senza sbavature. Mi piacerebbe sapere cosa pensano i milioni di cittadini che hanno scelto di farsi rappresentare per la terza volta da questo Governo e dal suo Presidente, e se si sentono effettivamente rappresentati, se ne condividono le scelte, il percorso iniziato. Bisogna dialogare? Sempre rimanendo fermi e propositivi. Bisogna ascoltare? Certamente sì, anche… la piazza.

Nereo Tiso

lunedì 2 giugno 2008

La sindrome del Partito ombra

Ilvo Diamanti - La Repubblica

Nessuno avrebbe immaginato, un anno fa, un sistema partitico semplificato come quello uscito dalle recenti elezioni. Quasi bipartitico, visto che le due forze politiche principali, PdL e Pd, insieme, hanno superato il 70% dei voti (validi).Tuttavia, non è facile prevedere che ne sarà del bipartitismo italiano. Il cui destino dipende dai due partiti che lo hanno prodotto e dai leader che lo hanno guidato. Da PdL e Pd. Da Berlusconi e Veltroni. Anzi, soprattutto da Veltroni e dal Pd. Perché è difficile dubitare della durata di Berlusconi. (E´ eterno). Anche se il suo Popolo della Libertà, per ora, resta un´intesa elettorale. Privo di legittimazione da parte degli organismi di Fi e An. Tuttavia, Fini e soprattutto Berlusconi agiscono come leader di partiti personali, che operano in base a scelte personali, espresse dalle persone che li hanno concepiti, inventati, trasformati e guidati. Berlusconi, il PdL e i suoi alleati, inoltre, hanno vinto le elezioni. Governano. Buoni motivi per "resistere" a lungo.Diverso e più serio, invece, il discorso per il Pd e per Walter Veltroni. Usciti sconfitti, seppure in modo onorevole. Dopo il voto, affrontano una fase incerta. Comprensibile, per un partito nuovo, guidato da un leader nuovo, che sperimenta un modo nuovo di fare opposizione. Sospettato, da alcuni amici e alleati, di eccessiva disponibilità alla mediazione. Con un leader trattato, fino a ieri, come un nemico. Anzi: il Nemico. Il futuro del bipartitismo (relativo, vista la presenza di altri soggetti politici, come IdV e Lega) dipende, quindi, in gran parte, dalla capacità di Veltroni e del Pd di consolidarsi. Senza perdere la fiducia dei propri elettori, ma allargando il perimetro tradizionale del consenso, che rischia di rendere il Pd, come alcuni malignano, l´ulteriore variante del postcomunismo. Il Pds senza la esse. Dipende, al tempo stesso, dalla capacità di Veltroni e del Pd di chiarire il reciproco rapporto. Fra leader e partito. Di decidere, cioè, cosa sarà il Pd da grande. A favore di Veltroni, tre indicazioni, che ricaviamo da un sondaggio post-elettorale condotto dal LaPolis (Laboratorio di studi Politici e sociali) dell´Università di Urbino nelle ultime due settimane.1. C´è una domanda generalizzata di dialogo e collaborazione fra maggioranza e opposizione sui temi topici della riforma delle istituzioni (90%). Questo orientamento non mostra particolari differenze fra schieramenti e partiti. E, nel Pd, coinvolge quasi la totalità degli elettori (94%).Ciò suggerisce che l´attuale politica "costruttiva" di Veltroni disponga di un largo sostegno, anzitutto fra i suoi elettori.2. Forse anche per questo motivo, Veltroni gode di un consenso trasversale, che supera i confini del Partito Democratico e perfino del centrosinistra. Veltroni, infatti, è il leader maggiormente apprezzato per la sua condotta degli ultimi mesi. Approvata da quasi due terzi degli elettori, nell´insieme. In particolare: dal 93% dei Democratici e dall´80% di quelli dell´IdV-Di Pietro. Ma, soprattutto, da oltre metà degli elettori del PdL e dal 70% di quelli dell´UdC.Per spiegare la simpatia del centrodestra, si potrebbe malignare che verso gli sconfitti si è disposti ad essere indulgenti e generosi. Tuttavia, Prodi, a centrodestra, aveva sempre suscitato diffidenza. Anche quando, alla fine della breve legislatura, appariva politicamente "sfinito". Peraltro, gran parte degli elettori, realisticamente, ritiene che, dopo il voto, Veltroni si sia indebolito. Non solo nei confronti dei leader vincitori. Anche del suo alleato, Antonio Di Pietro. Anche se sconfitto, quindi, Veltroni è apprezzato. Perché considerato principale artefice della semplificazione del sistema partitico. Il leader che, con le sue scelte, ha costretto Berlusconi a "inventare" il PdL, riunificando FI e AN. E a presentarsi, a sua volta, (quasi) da solo.La fiducia nei confronti di Veltroni, inoltre, rispecchia il "rendimento mediatico" del leader Pd. La sua capacità di affrontare la campagna elettorale e, più in generale, la politica nell´era del marketing e della comunicazione. Veltroni, dunque, piace, come leader. Ai suoi elettori ma anche a quelli di Berlusconi. Da cui ha appreso, in modo egregio, la lezione. Lo stile. Fino a superare il maestro.3. La terza osservazione ricavata dall´indagine del LaPolis riguarda, direttamente, il Partito Democratico. La cui esperienza è guardata con favore da nove elettori su dieci, nel Pd. Al contrario, solo una frazione residuale (il 4%) pensa che occorra "resettare" il sistema e ripartire da capo. Rilanciando i partiti che lo hanno fondato. DS e Margherita. Tuttavia, questo consenso generalizzato riassume orientamenti distinti e distanti. Infatti, metà dei favorevoli al Pd ammette che, nel costruirlo, siano stati commessi errori significativi. Insomma, ne sono insoddisfatti.Il che sottolinea un certo distacco: fra la volontà - condivisa - di proseguire l´esperienza del Pd; e l´insoddisfazione - diffusa - per il modo in cui è stata, sin qui, realizzata. Questo contrasto, come quello nei confronti dell´immagine di Veltroni - universalmente apprezzata - non deve sorprendere troppo. Riassume il dilemma, irrisolto, su cosa farà, da grande, il Pd.Più in particolare, riflette l´ambiguità sul rapporto fra leadership e il partito. Che riguarda il sistema politico e la democrazia in Italia. Ma, nel Pd, appare più evidente.In effetti, la campagna elettorale si è svolta seguendo un modello di tipo presidenzialista. Berlusconi contro Veltroni. Come fossimo negli USA oppure in Francia. Una tendenza che Veltroni ha interpretato al meglio. Per qualità personali, ma anche perché ha saputo intercettare la domanda - estesa e trasversale - di semplificare il sistema partitico. Fino a ridurlo a due forze politiche riassunte da due leader. Perché, inoltre, ha cercato di superare la lunga stagione della frattura tra berlusconismo e antiberlusconismo. Passando dalla contrapposizione all´opposizione. Abbattendo il muro di Arcore, eretto dove prima c´era quello di Berlino. Tuttavia, passate le elezioni, il Pd appare un progetto incerto. Un partito incompiuto. Un partito-ombra all´ombra del governo-ombra. E di un presidente/premier-ombra. Mentre il dibattito politico si svolge, con accenti spesso critici, fra i "leader di una volta". D´Alema, Marini, Parisi, oltre allo stesso Veltroni. Di ciò che avviene in periferia, al centro giungono echi molto fiochi. Di ciò che avviene al centro, in periferia si sa poco. Al centro come in periferia, i "nuovi" dirigenti e militanti, esterni alle tradizionali cerchie di partito, stentano a farsi largo. Insomma, il Pd oggi esprime un´ambiguità di fondo. E´ un partito quasi "presidenziale" mentre il nostro sistema istituzionale non è presidenziale, né semi-presidenziale. Ma parlamentare E non assegna poteri particolari al premier.Inoltre, è un partito "debole" dal punto di vista organizzativo, dell´identità, del rapporto con la società e il territorio. Ma il nostro sistema elettorale è ultraproporzionale e attribuisce ai partiti (meglio: alle oligarchie di partito) un potere elevatissimo.Questa situazione è comune al PdL. Che, tuttavia, ne soffre assai di meno. Per motivi "biografici", visto che Berlusconi l´ha generato e ri-generato, a propria immagine e somiglianza. Per motivi di cultura e tradizione politica: per l´attrazione suscitata, a centrodestra, dal mito dell´uomo forte. A centrosinistra è diverso. Perché Veltroni non è Berlusconi e il Pd non è il PdL. Il PdL senza Berlusconi: non esisterebbe. Veltroni senza il Pd: non può durare. Ma il Pd non c´è ancora. E il nostro bipartitismo - anche per questo - zoppica.

Il vero cristiano si vede dai clandestini


Enzo Bianchi - La Stampa


Le preoccupazioni che anche recentemente ho avuto modo di esprimere sul clima di intolleranza nei confronti degli stranieri non fanno che crescere in queste ultime settimane.Le poche voci che si levano a chiedere maggior prudenza e discernimento nel parlare e agire in una questione così complessa e delicata finiscono con l’essere sommerse dall'onda di una emotività che, se non creata ad arte, è quantomeno alimentata per ragioni non sempre trasparenti. Parimenti sono trattati come irrilevanti, inappropriati o intempestivi gli appelli alla salvaguardia della giustizia e dei diritti umani o all'accertamento delle responsabilità individuali. Principi fondamentali del diritto nazionale, comunitario e internazionale, come la non discriminazione in base all'appartenenza etnica o religiosa, vengono declassati a secondari di fronte alla percezione di una «emergenza» che, anche se fosse tale, non dovrebbe però mai sospendere le garanzie essenziali della convivenza civile.Tutto questo, si dice, è per rispondere in modo tempestivo e credibile alla pressante richiesta di «sicurezza» che viene dalla maggioranza della popolazione. Ma essere attenti a sentimenti diffusi nella società, ascoltare le paure che emergono, cogliere i bisogni e le richieste avanzate in modi propri e impropri non significa cessare di interrogarsi su cosa e chi le genera, non comporta l'abdicare ai principi fondanti il vivere insieme, non richiede l'abdicazione della ragione e dell'umanità di fronte alla passione emotiva. È proprio di fronte alle «emergenze», vere o artefatte che siano, che vengono alla luce le radici autentiche di un tessuto sociale e la solidità di convincimenti etici e religiosi: un orientamento etico e un impianto giuridico non possono essere considerati validi solo in situazioni di ordinaria amministrazione e poi essere accantonati o stravolti all'insorgere di problematiche inedite. È proprio la capacità di elaborare risposte coerenti a una serie di convincimenti fondamentali e condivisi che conferisce identità e solidità a una comunità nazionale nel mutare degli eventi storici. Saldezza di principi e identità culturale non sono affatto realtà statiche, immutabili: sono il frutto di secoli di maturazione del pensiero e dell'azione di singoli individui e di gruppi sociali a volte anche molto distanti tra loro nell'opzione ideologica di fondo.Dialogando si può e si deve ricercare, inventare, concordare non un «minimo comune multiplo» ma un ideale abbastanza alto per stimolare la dinamica della vita sociale, aprire nuovi orizzonti, offrire speranze alle generazioni future e, nel contempo, sufficientemente realista da poter essere calato con efficacia nel vissuto quotidiano.In questo senso la presenza di stranieri nel nostro paese e, in particolare quella di gruppi etnici o religiosi marcatamente «altri» rispetto alla maggioranza, non è tanto una minaccia alla situazione esistente quanto un'occasione preziosa per verificare cosa davvero conta per noi nelle nostre vite e quale prezzo siamo disposti a pagare per ciò in cui crediamo. Del resto ci sono nodi che è inutile fingere di ignorare, quasi che rimuovendo il problema lo si risolva: come dimenticare, per esempio, che solo qualche anno fa vi era chi auspicava di favorire l'immigrazione da paesi di tradizione cristiana piuttosto che musulmana pensando così di facilitare ipso facto l'integrazione dei nuovi arrivati? I gravissimi episodi di intolleranza e xenofobia nei confronti di zingari e romeni - in maggioranza di religione cristiana - dimostrano purtroppo la miopia di tale auspicio: i problemi erano e sono di altro tipo. Anche per quanti si richiamano al cristianesimo la situazione di queste settimane dovrebbe costituire un campanello di allarme: che cultura, che etica della vita si vuole comunicare?Che ne è dell'attenzione al povero, allo straniero, alla vedova e all'orfano - cioè alle categorie che non avevano diritti ed erano indifese alla mercé dei più forti? Che ne è dell'esempio delle prime comunità cristiane in cui si tendeva a che non ci fosse «nessun bisognoso» grazie alla condivisione, né si ammettevano discriminazioni nell'appartenenza tra giudeo o greco, uomo o donna, schiavo o libero?Che ne è delle parole di Gesù sull'amore per i nemici, sul perdono, sulla misericordia; o delle esortazioni dell'apostolo Paolo a «non rendere a nessuno male per male», a «vincere il male con il bene», a «cercare sempre il bene tra voi e con tutti»?E, per calarci direttamente nelle problematiche odierne, che ne è delle parole che Paolo VI pronunciò nel 1965 a rom e sinti: «Voi siete nel cuore della Chiesa»? A quale conversione hanno spronato le richieste di perdono fortemente volute da Giovanni Paolo II come momento penitenziale del Giubileo del 2000? Utopie irrealizzabili, verrebbe da dire di fronte alla vastità dei problemi che il fenomeno mondiale delle migrazioni pone alle nostre società occidentali più ricche, ma la differenza cristiana che queste istanze evangeliche pongono come ineludibile si misura anche e soprattutto nelle circostanze più difficili.E non può non interrogare tutti - credenti e non credenti - il malcelato scherno con cui da più parti si stronca ogni richiamo verso una maggior giustizia ed equità sociale, verso una solidarietà fattiva, additandolo come «buonismo» pericoloso, denigrando le «anime belle» che credono nella forza della persuasione, del convincimento, del dialogo, della pace.Siamo davvero convinti di difendere la nostra identità di popolo e nazione civile fomentando il ritorno alla barbarie dell'homo homini lupus? Che «sicurezza» sarebbe mai quella imposta con la violenza, il sopruso, la vendetta, la violazione dei principi costituzionali? Se quella in cui siamo scivolati è un'emergenza, essa non ha il nome di un'etnia ma quello della nostra civiltà.

lunedì 26 maggio 2008

Ma la paura è una cosa seria

Ilvo Diamanti

E' VERO: c'è una distorsione elevata fra percezione e realtà. Fra l'insicurezza e i motivi usati, normalmente, per spiegarla. Ormai è quasi uno slogan che echeggia in ogni discorso. Quasi un riflesso pavloviano. Proviamo crescente paura della criminalità anche se la criminalità diminuisce oppure, comunque, non aumenta. Una considerazione banale. Osservare che non c'è motivo di avere paura. Però se abbiamo paura qualche motivo c'è. E comunque: abbiamo paura. Questa è l'unica realtà. Per l'uomo politico, l'amministratore; il "responsabile" della nostra sicurezza, la soluzione migliore è, dunque, di assecondare le nostre paure. Fornirci immagini, a modo loro, rassicuranti per curare la nostra insicurezza. Dirci che non è colpa "nostra", ma degli "altri". I "microcriminali" ("tanto piccoli che quando ci muoviamo richiamo di calpestarli", ironizzava Marco Paolini, in una pièce di qualche anno fa: il "Bestiario Veneto"). Gli immigrati. Gli zingari. Gli altri, che ci minacciano. Perché violano, anzitutto, la nostra nostalgia. Il nostro senso di comunità spezzato. Il nostro piccolo mondo schiacciato dal mondo più grande che grava, incombe su di noi. Valutazioni realistiche e perfino scontate. Dette così, tra persone colte e ragionevoli, come siamo noi, possono risultare convincenti. Però vi sfido a fare lo stesso discorso alla gente che incontrate ai supermercati. All'uscita oppure all'ingresso. Mendicanti, accattoni, zingari, stranieri. Magari i tossici. Provate a dire alla "gente comune": sbagliate a temere queste figure. I marginali, gli ultimi del nostro piccolo mondo. Voi non vi rendete conto, ma in effetti, è il mondo "in grande" che vi spaventa. La vostra insicurezza è "ontologica", come direbbe Bauman. O forse Giddens. Nasce da lontano. Dalla crisi dei riferimenti cognitivi, dei fondamenti di valore, dell'ordine globale. E' questo che mina il senso della vostra vita. Poi, verificate le reazioni dei vostri interlocutori. Nel migliore dei casi, vi guarderanno con compassione. Come dei matti. O dei poveracci. Al pari di quelli che stazionano all'ingresso ( all'uscita) del supermercato. Dipende dai punti di vista. Il problema è questo: le spiegazioni più "radicali", quelle che isolano e individuano i problemi "alla radice" e permetterebbero, quindi, di "sradicarli", sono anche le più difficili da attuare. Perché richiedono tempi lunghi. Perché fanno riferimento a ragioni lontane da noi. Nel tempo, nello spazio. Ma, soprattutto, queste spiegazioni sono comunque complesse. Difficili da chiarire e da capire. E quand'anche vi foste riusciti, quando, cioè, il vostro interlocutore avesse compreso che sì, la fonte della sua insicurezza non è (solo) lo zingaro, l'immigrato, l'accattone, lo sfigato, il tossico. Ma è la globalizzazione. Oppure la perdita della comunità. La scomparsa del territorio. L'urbanizzazione sconvolgente che sconvolge le menti e le solidarietà. Quand'anche foste riusciti a chiarirlo bene, al vostro interlocutore - e, se fate politica oppure siete un amministratore: al vostro elettore. Poi, che cosa gli dite? Quale soluzione gli proponete? Di tornare indietro nel tempo? Al passato tanto bello in confronto a questo presente desolante? Oppure di distruggere palazzi, condomini e piazze per ricostruire l'ambiente umano di un tempo? Anche voi, dei "ragazzi della via Gluck", dediti a constatare, in modo poetico e dolente, che "là dove c'era l'erba ora c'è una città" (e campi nomadi, baracche, ecc.)? Questo mi pare il problema maggiore per quanti avversano, giustamente, una concezione dell'insicurezza che tutto riduce alle "minacce nei confronti dell'incolumità personale". E diffidano di politiche securitarie che, invece di curare l'insicurezza, la moltiplicano. Politiche e provvedimenti miopi, incapaci di vedere (e pre-vedere) oltre la punta del naso. Ma se non hai soluzioni diverse, concrete, che, comunque, promettano (a torto o a ragione, non importa) risultati reali e realistici, rischi di passare per un "nane" (si direbbe dalle parti mie). Tradotto: un idealista un po' sciocco. Un poco tonto. A cui pochi si affiderebbero per risolvere problemi veri e drammatici, come la sicurezza. Per questo occorre prendere le percezioni sul serio. Senza contrapporle alla realtà. Perché sono più reali della realtà reale. Prendere le percezioni sul serio. Ma senza crederci seriamente. Senza indossare, anche no, gli stessi occhiali deformanti. Come fanno molti uomini di governo centrale e locale che - ormai senza distinzione politica - inseguono le spiegazioni facili e semplici. Non solo operano per ristabilire la pulizia e la polizia dell'ambiente, contro zingari, accattoni, tossici e immigrati - naturalmente irregolari. Per le ragioni che ho scritto: è comprensibile. Ma neppure credibile che il problema stia lì. Che la causa siano gli "altri". Ma se non è credibile, meglio non crederci e non farlo credere alla gente. Le percezioni: sono reali. Vanno prese sul serio. Trattate con rispetto. Tanto più le persone che esprimono. I "portatori sani" di giudizi indimostrati. Di pre-giudizi. Vanno prese sul serio. Però fingere di crederci. Anzi: crederci davvero. Questo no. Rispettare chi crede a una realtà irreale. Rispettare l'irrealtà come una forma di realtà. Tutto questo va bene. Ma considerare reale la realtà irreale. Anzi: l'unica realtà possibile. Dare ragione a chi la considera "vera". Ribadirne le convinzioni in modo convinto. No. E' troppo. Il divario tra percezioni e realtà, va ridotto, se possibile. Ma non solo e non necessariamente dalla parte della percezioni. Meglio lavorare per verificarle. Se necessario: smentirle e contraddirle. Senza rassegnarsi al "senso comune". Alle verità date per scontate, quando scontate non sono. Anche se e quando le "nostre" verità provate sono poco visibili, frustranti da accettare. Se contraddicono le verità percepite e i miracoli promessi. Se evocano soluzioni lontane e sgradevoli, perché coinvolgono "noi" e non solo gli "altri". Se le nostre ragioni appaiono poco ragionevoli alla gente, meglio essere prudenti e umili. Senza rinunciare alle nostre ragioni, per il timore di passare da "nane". Meglio nane che mona.

domenica 20 aprile 2008

A propostito di laicità

Pubblicato su "Il Mattino di Padova" 19 marzo 2008

Il consigliere Zan, probabilmente sulla scia del dibattito organizzato da “Studenti per e laboratorio 48” dell’altra sera (al quale ho partecipato), ha ritenuto opportuno comunicare attraverso il giornale la sua idea di tolleranza, di ribadire la sua posizione sulla laicità e di rincarare la dose contro l’intossicazione da religione (?), qualora ce ne fosse stato bisogno, passando attraverso le categorie di sacro, diritto, scienza, etica. Mi verrebbe da chiedere se religione e sacro non potevano essere tradotti con “Chiesa Cattolica” che forse sarebbe stato più chiaro per tutti. La convivenza tra religioni e coloro che non appartengono a nessuna religione è un fatto straordinario in uno stato laico, garantito dalla Costituzione e questo dev’essere un vanto per i valori raggiunti dal sistema democratico. Pertanto, quando si parla di laicità non si può essere unidirezionali e nessuno può sentirsi il solo detentore della vera laicità: c’è chi è laico non credente e chi è laico credente. Tutti fanno parte del “popolo”, non in virtù della loro fede o non fede ma del loro status di cittadini, delle tradizioni, della cultura, della storia a cui appartengono e, non ultimo, della religione che vivono. Spero che su questo non ci siano dubbi. E se dobbiamo far riferimento alla laicità dello Stato e del suo rapporto con la religione e la Chiesa Cattolica, oltre agli articoli 7 e 8 della Costituzione, la sentenza della Corte Costituzionale n. 203/1989 aiuta a far chiarezza. Cito solo un piccola parte: «l’attitudine laica dello Stato-comunità (...) si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini».
Altra cosa sono le questioni dei “diritti civili” di cui tanto si parla e che sembrano affrontati con ostracismo dalla religione, anzi dal “sacro”, che pervade addirittura il sistema parlamentare tanto che questi non siano garantiti. E ancora si parla di superstizione nel vivere la religione (cattolica?) quasi che si vedessero maghi, imbonitori, imbroglioni, guaritori un po’ dappertutto, pronti a falsare la realtà e distorcere i messaggi che arrivano dall’esterno incanalando il pensiero altrui a proprio uso e consumo. Mi sembra, a dir poco, eccessivo. E l’etica confusa con la religione (“in malafede”)? L’etica come “insieme di scrupoli morali”, “avversione alla crudeltà”, “difesa dei diritti”? Mi sembra che anche su questo ci sia, a parer mio, qualcosa da dire. Sarebbe da capire se anche l’etica dev’essere garantita dallo stato (difesa dei diritti); se è questione di qualche scrupolo per mettere a posto la coscienza di fronte a certe situazioni magari anche di crudeltà. Spero ne convenga, ma l’etica è molto di più: attraverso una profonda ricerca, anticipa la legge, guida nella riflessione e nel comportamento cercando di non banalizzare le coscienze di fronte alle storpiature che, non infrequentemente, le società propongono e che non riguardano solo la bioetica ma anche l’economia, la politica, l’ambiente ecc. Mi spiace anche che parli di difficoltà della convivenza tra scienza e sacro facendo riferimento a Galileo e Darwin quando le questioni sono decisamente più complesse e meriterebbero un maggiore approfondimento piuttosto che essere trattate come slogan dualistici tra creazionisti e evoluzionisti.
Ultima questione. La sovraesposizione della gerarchia ecclesiastica, talvolta è difficile da capire e a qualcuno può urtare qualche nervo scoperto. Ma da questo a dire ciò che la “Chiesa” dovrebbe tacere e ciò che dovrebbe dire è un po’ eccessivo (art. 21 della Costituzione e un articolo di Salvatore Carruba del 23 marzo sul Sole 24 ore). Forse qualche documento ecclesiale sarebbe importante da leggere per meglio conoscere.
Io ho fatto la mia scelta. Come cattolico, ho scelto il Partito Democratico nel quale, su queste posizioni, si può dialogare in maniera franca, senza demagogia, serenamente e non porre attenzione a ciò che al momento fa più notizia. Le garantisco: la religione che intollerante che “vuole prendere il posto della scienza o che nega i diritti” non è la mia, forse è un'altra che, a dire il vero, non conosco.


Nereo Tiso
insegnante
Costituente Nazionale Partito Democratico
Componente coordinamento cittadino

Elezioni 13/14 aprile 2008



Padova, 20 aprile 2008


Carissimi,
rieccomi dopo qualche giorno dalle elezioni che hanno visto l’esplosione della Lega, la riduzione dei consensi per il Partito della Libertà e, soprattutto, la scomparsa del partito dell’estrema sinistra. Ora l’onere di governare passa ai vincitori; a noi resta quello di rimanere vigili e propositivi.
Vorrei però, fare una riflessione sul risultato del Partito Democratico, che ci ha visto impegnati a portare questa novità, l’unica proposta forte, condivisa, voluta, discussa, nel panorama del già visto, ma che ci ha visto soccombere, nonostante il lavoro fatto, e il recupero sul notevole divario che, secondo i sondaggi, ci separava dai vincitori:
1. Il risultato migliore lo ottiene nelle città, aumentando i consensi e mantenendosi come primo partito. La provincia, purtroppo, ci vede in sofferenza.
2. La fatica di costruire un nuovo partito ha dovuto tener conto che la nascita proviene da altri due partiti con le loro storie, che appartengono a molti dirigenti e militanti e che, naturalmente, non possono essere messe improvvisamente in soffitta. Il tempo è stato tiranno.
3. La campagna di Walter Veltroni è stata all’insegna di proposte innovative nonostante le difficoltà dei 18 mesi di governo Prodi, non tanto per ciò che di positivo ha fatto, ma su ciò che ha dovuto sopportare con continue mediazioni da personaggi che hanno fatto il possibile per costituire una seconda opposizione rispetto alle forze della destra parlamentare. Veltroni ha saputo coniugare le diverse provenienze dei partiti, delle storie e delle culture, ma anche le nuove provenienze, con le loro professionalità e capacità che non devono in alcun modo essere disperse
4. Il risultato finale, purtroppo, è stata la sconfitta con il conseguente dovere di fare opposizione al governo di chi ha saputo cavalcare strumentalmente le proteste del disagio dei cittadini ma che, al primo annuncio da vincitore, ha detto che saranno tempi veramente duri e si dovranno fare scelte impopolari. Comunque la vittoria va rispettata: è la democrazia.
5. Il VENETO: la nostra regione, com’era prevedibile, ha dato la vittoria all’alleanza PDL-Lega con uno scarto molto alto, anche se il PD si è mantenuto su buoni livelli: primo partito in Veneto 2 e secondo in Veneto 1 alla Camera dei deputati
6. Si parla di Partito del Nord: non certo un buon esempio. Credo che il PD non abbia bisogno di seguire a tutti i costi la Lega. Prima si parlava di partito federato: forse su questo ci sarà da discutere e capire bene che cosa si intende e quali possano essere le forze e le proposte da mettere in campo. Mi sembra evidente, comunque, che i problemi, gli interessi, il modo di porsi e ciò che dicono i veneti non è uguale a ciò che dicono i cittadini di altre regioni.
7. Parlare con la gente, capirla e comunicare con loro con un linguaggio che non sia lontano, e nemmeno banale. Affrontare in maniera determinata in maniera non strumentale le loro richieste non dimenticando i valori sui quali abbiamo fondato questo Partito. Inseguire gli altri, sulle loro strade e i suoi loro proclami, non ha senso e ci porterebbe sulle sabbie mobili.
8. Decidere di affrontare il tema sicurezza sperando non sia l’unico su cui discutere e riflettere. Certo ora è “il tema” e tutti lo circondano pretendendo di possedere la soluzione. La legge, comunque, c’era, presentata dal governo Prodi ma non approvata per i veti di Rifondazione Comunista.

Ora bisogna alzare gli occhi, rivedere e rivedersi, non solo per riflettere sulle elezioni passate, ma per capire se ci sono proposte nuove, persone nuove e disponibili a discutere con idee nuove.
Progettare il futuro per affrontare nuovi ostacoli, primi tra i quali le amministrative e provinciali del 2009.
I nostri dirigenti avranno il compito, assieme a noi, di ascoltare per poter prendere decisioni condivise e non avventate: ma prenderle. Noi avremo il compito di discutere nei gruppi di studio, nei forum per arrivare a sintesi propositive. Senza nessun risentimento e senza sentenze affrettate.

Cordialmente

Nereo Tiso

martedì 25 marzo 2008

I giovani, la politica e il Partito Democratico

Domenica 23 marzo leggo, pubblicato su Repubblica, un interessante sondaggio che mette in evidenza come i giovani abbiano posizioni e atteggiamenti diversi sulla politica, sui partiti, sulle intenzioni di voto e sul futuro. Questi quattro elementi non possono essere distinti l’uno dall’altro perché dimenticandone uno, gli altri tre non avrebbero più senso. Piuttosto sarebbe da chiedersi il perché del pessimismo che serpeggia tra i giovani e quali potrebbero le risposte da dare cercando di coinvolgerli e di farli partecipi quali attori responsabili nel modello di società che viene loro offerto. Andiamo per ordine:

La politica: chiaramente è un concetto generico che può suscitare atteggiamenti diversi. La domanda è: chi prepara i giovani alla politica? Dove stanno le agenzie nelle quali si possa trasmettere l’importanza e il valore della politica? Ovviamente, quando si parla di politica, si vuole far riferimento a quel sistema della polis nella quale i cittadini e quindi anche i giovani, debbano essere propositivi, attivi, virtuosi e responsabili; si vuole far riferimento alla possibilità di far politica anche al di fuori dei partiti attraverso l’associazionismo, la cooperazione e via dicendo. Le risposte: forse uno delle agenzia che più può avere responsabilità di questo e che possa essere esterna alla famiglia, è la Scuola. Ma certamente non possiamo scaricare sulla Scuola, che ha già i suoi problemi, tutta la responsabilità educativa della politica. Esistono le Scuole di formazione all’Impegno Sociale Politica come istituzioni diocesane, che hanno loro connotazione e un loro percorso. Ora sta nascendo la Scuola del Partito Democratico alla quale si è già lavorato: questo mi sembra importante; senza demagogia né ipocrisia ma come un vero segno del cambiamento voluto dal partito.

I partiti. Dopo la debacle di tangentopoli dei primi anni ’90 la faticosa risalita della china dei partiti a riproporsi come qualcosa di nuovo è stata difficile e tortuosa. I giovani che hanno avuto attenzione al cambiamento hanno difettato, talvolta, di riflessione e hanno assunto atteggiamenti di “pancia” in funzione dei momenti storici che si stavano attraversando. Pensiamo al risentimento nei confronti dei politici; poi all’atteggiamento di essere padroni a casa propria (protesta Leghista); al sogno luminoso di chi ha promesso attraverso l’accensione di milioni di luci una speranza che si è dimostrata solo un ologramma; ora il problema dell’immigrazione che è stata svenduta da alcune parti politiche della destra come l’unico problema per la sicurezza. La speranza ora, per i partiti, è la novità assoluta del Partito Democratico che ha saputo smarcarsi da un sistema che ormai si era incancrenito offrendo una via nuova, una speranza che finora era sempre stata delusa. Spazio alle nuove generazioni!!! Non solo in termini di posti-lista, ma in termini di prospettive per il futuro, di una politica costruita da un partito che sappia volere, apprezzare e sensibilizzare il contributo dei giovani.

Intenzioni di voto. La lettura che ne fa il sondaggio è che i giovani al primo voto e maggiormente istruiti votano Partito Democratico; gli altri, meno istruiti e con qualche altra “votazione” alle spalle scelgono PDL. Perché? Forse il partito Democratico non può esimersi dall’assumersi la responsabilità di dare delle risposte in grado di far capire come il futuro si giochi non sui sogni senza senso dei lustrini colorati, ma sulla forza di ognuno si sentirsi partecipi del cambiamento. Nel programma, molte risposte ci sono già. Ora è necessario coinvolgere chi già crede nel messaggio e nella novità del PD di essere conduttore di questa novità.

Futuro. Questa possiamo dire sia la nota dolente, ma allo stesso tempo anche quella più stimolante. Il futuro incerto non si risolve con le lacrime o con i proclami come qualcuno vuole far credere, ma con la concretezza delle risposte che devono partire da alcuni semplici elementi: scuola, università, lavoro, spazi di socializzazione e responsabilizzazione. I giovani di oggi avranno un futuro peggiore dei loro genitori? Per la maggioranza nel sondaggio di Repubblica la risposta è sì. E’ evidente che le risposte vengono date in base alle regole attuali. E’ questa la sfida del PD: cambiare oggi per migliorare domani suscitando migliore aspettative con migliori sicurezze; premiando i più bravi, ma anche la tenacia e la volontà che normalmente porta a buoni frutti. Per migliorare il futuro quindi, i giovani non dovranno più essere una razza protetta (giovani fino a 40 anni???), a rischio di estinzione, controllata a vista; esibita (nelle liste???), come una sorta di panda, come dice Diamanti, bensì un continuo laboratorio per il futuro, assumendosi responsabilità per migliorare e richiedendo nuove norme che diano speranza e non solo frustrazione.
Arrovellarsi nell’antipolitica di Grillo e di altri è comunque fare politica; una politica contro qualcosa o qualcuno. Il Partito Democratico sostiene una “politica PER”, cioè propositiva e non distruttiva.


Nereo Tiso
Padova
Costituente Nazionale
Componente coord.Cittadino

martedì 4 marzo 2008

Cattolici nel Partito Democratico

Nereo Tiso

“Il Partito Democratico riconosce e rispetta il pluralismo delle opzioni culturali e delle posizioni politiche al suo interno come parte essenziale della sua vita democratica, e riconosce pari dignità a tutte le condizioni personali, quali il genere, l’età, le convinzioni religiose, le disabilità, l’orientamento sessuale, l’origine etnica”. (dallo Statuto)

“Le energie morali che scaturiscono dalle esperienze culturali, spirituali e religiose, quando riconoscono il valore del pluralismo e del dialogo, rappresentano un elemento vitale della democrazia”; “riconoscimento della rilevanza, nella sfera pubblica e non solo privata, delle religioni..” ( dal Manifesto dei Valori)

E’ a questi articoli dello statuto che si può far riferimento perché anche i cattolici si sentano a pieno titolo all’interno di un Partito capace di mettere assieme provenienze diverse, storie diverse e diverse convinzioni contribuendo così alla costruzione di percorsi virtuosi attraverso il dialogo e il confronto. I cattolici possono sentirsi, al pari degli altri, come coloro che aggiungono valore al partito, portando con sé i propri valori e le proprie convinzioni mettendole al servizio di un modo finalmente nuovo di fare politica senza pregiudizio alcuno.
La scelta che i cattolici hanno fatto di entrare nel Partito Democratico è stata una scelta di prospettiva per il cambiamento del paese con una visione di società che si differenzia sostanzialmente da chi sta dall’altra parte dello schieramento. Una società costruita dal basso, in grado di offrire giustizia, solidarietà, opportunità e dignità a tutti coloro che sono a rischio di emarginazione. In sostanza, attivarsi per partecipare responsabilmente alla realizzazione del bene comune con un’attenzione particolare ai più svantaggiati. Questo, senza pensare di detenere la priorità nelle proposte, ma sempre disponibili al confronto nel ricercare gli strumenti migliori per la realizzazione dell’interesse principale di tutti e non di una parte. Dobbiamo mettere in azione le nostre capacità, le nostre sensibilità senza timore nei confronti di alcuno, sapendo di essere ascoltati e non emarginati anche di fronte a temi molti sensibili che ci toccano da vicino e che, talvolta, stridono con i valori di cui siamo portatori; e non sono solo i temi “eticamente sensibili”.
I cattolici del Partito Democratico, non hanno interesse per chi ha bisogno di presentare proprie liste costituite da “candidi” e non candidati, con la pretesa di essere gli unici ad essere latori e difensori dei valori e dei principi inscritti nella Dottrina Sociale della Chiesa. E’ una presunzione che non appartiene ai cattolici del PD. Essi si riconoscono nella Costituzione Italiana quale “vangelo laico” di riferimento nella loro attività politica, e nel Vangelo hanno il riferimento personale dal quale trarre beneficio per costruire percorsi di confronto dialettico e non di scontro. In politica dobbiamo “operare da cristiani” come diceva Maritain, autonomamente, impegnando solo se stessi con la propria responsabilità. Nulla è facile e nulla è scontato nella ricerca e nella realizzazione del bene comune. Bisogna lavorare contro i falsi moralismi e le strumentalizzazioni insensate di chi vuole a tutti i costi metterci contro qualcuno; è necessario avere uno sguardo aperto e allontanarsi dalle demagogiche prese di posizione di chi, ancora una volta, vorrebbe essere il solo rappresentante dei cattolici e difensore dei principi a cui essi fanno riferimento. L’ipocrisia si fa vanto di chi si veste con abiti che non gli appartengono e che gli stanno un po’ stretti.
Certo è che, comunque, la scelta di far entrare nel Partito Democratico il Partito Radicale, può aprire una nuova fase con nuove difficoltà, che vengono vendute come insanabili. Su alcuni argomenti è evidente, e non si può negarlo, i radicali e i cattolici si guardano da molto lontano, ma tutto deve passare attraverso quei tre documenti che sabato 16 febbraio abbiamo votato a Roma: lo statuto, la carta dei valori e il codice etico, oltre all’accettazione del programma del Partito Democratico. Sarà importante rimanere vigili, prestare attenzione ai protagonismi e ai sensazionalisti che hanno distinto i radicali (e non solo) in questi anni, curandosi di ristabilire gli equilibri che finora si sono raggiunti nel rapporto corretto e costruttivo tra laici e cattolici.
Nessuno dovrà creare un circolo chiuso e correntizio, rimanendo fermo alla fine dell’800, alzando palizzate senza senso; nessuno dovrà demonizzare l’altro, portatore non di propri interessi, ma di opinioni, idee e valori. Lo scontro, come cattolici, non ci appartiene (lasciamolo agli altri); cercheremo con forza il dialogo anche di fronte ad estremizzazioni, fondamentalismi e particolarismi che non rasserenano e ci fanno arretrare. Di che bisogna temere? Nessuno potrà imbrigliare coscienza e cervello.

Nereo Tiso
Costituente nazionale Partito Democratico
Componente il Coordinamento Provinciale e Cittadino

mercoledì 27 febbraio 2008

ROMA 16 Febbraio 2008 - Assemblea Costituente -




Carissimi,
come avrete sicuramente sentito e, probabilmente anche visto il 16 febbraio, in Fiera a Roma, si è vissuto un altro momento importante per il Partito Democratico al quale ero presente: l’approvazione dello statuto, della carta dei valori e del codice etico. Sono il frutto di lunghe discussioni e numerose mediazioni dovute alla diversità dei partiti di provenienza e a culture che, fino a non molto tempo fa, si contrapponevano. I rappresentanti delle tre commissioni eletti il mese di ottobre, sollecitati da molte proposte e suggerimenti dei costituenti, sono riusciti a costruire una sintesi che qualifica il partito democratico, apre una fase nuova e impegna tutti coloro che si dedicheranno alla politica attiva come dirigente, amministratore locale o politico nazionale, ad operare nella più assoluta trasparenza, onestà ed esclusivamente per la realizzazione del bene comune.
Cercherò ora di offrirvi, in estrema sintesi, alcuni elementi dei tre documenti approvati dall’assemblea di Roma:

Per quanto riguarda lo statuto,
- si parla di partecipazione, di promozione alla partecipazione, di parità di genere in ogni organismo costitutivo e politico;
- di rispetto delle provenienze culturali, politiche e delle convinzioni religiose;
- di promozione della trasparenza sulle informazioni e sull’indirizzo politico del partito;
- di promozione e del ricambio delle cariche istituzionali e politiche
- dovere alla partecipazione della vita del partito
Nello statuto inoltre, si declina la struttura federata del partito e come dovrà svolgersi la vita delle stesso nei suoi vari livelli, a partire dai circoli.
Un altro elemento che contraddistingue il Partito Democratico è il metodo delle primarie che dovranno essere utilizzate per indicare i candidati a presidente di Provincia, Regione e di Sindaco, salvo candidatura unica. Inoltre le primarie si dovranno svolgere per scegliere i candidati alla assemblee rappresentative
Inoltre si indicano gli strumenti di partecipazione l’elaborazione del programma e la formazione politica (forum tematici, formazione politica e culturale attraverso percorsi organizzati dal partito, ecc).
In conclusione, ma non meno importanti, sono indicati i principi e gli organi per la gestione finanziaria, e gli organi di garanzia

Per quanto riguarda il manifesto dei valori:
- si parla del come nuova guida per il paese
- ridare valore ai giovani per valorizzarne i talenti
- costruire attraverso nuova fiducia attraverso le grandi energie del paese
- costruire una democrazia forte in grado di decidere lontana dalle ideologie che non appartengono più al paese
- ridurre in maniera decisa i privilegi della dirigenza politica
- pensare alle donne come prime interessate al rinnovamento della politica e combattere contro i soprusi e le violenze
- pensare alla globalizzazione che apre a scenari sempre nuovi e interdipendenti
- pensare all’accesso universale al sapere; creare condizioni per uno sviluppo sostenibile in difesa della centralità dei diritti dell’uomo
- riconoscere a fondamento la Costituzione repubblicana e riconoscere la laicità dello stato nel rispetto e nel riconoscimento di tutti e di ciascuno
- rinnovare l’Italia attraverso sviluppo, uguali opportunità contro le caste e privilegi di ogni tipo;
- ridare dignità e sicurezza al lavoro; attenzione all’impresa
- affermare con forza una politica di emancipazione sociale; ricollocare nella giusta dimensione l’equità sociale;
- riconoscere i valori della ricerca scientifica e la sua libertà non sottraendola agli interrogativi etici che questa pone;
- attenzione all’educazione, alla formazione e all’istruzione oltre che al sostenimento e potenziamento dell’Università
- attenzione alla pace e all’ambiente

Per quanto riguarda il codice etico
- ci si riferisce alla responsabilità personale delle donne e degli uomini del Partito Democratico perché questo sia credibile e aumenti il rapporto di fiducia con i cittadini attraverso il confronto, il dialogo, la partecipazione
- non ci dovrà essere, per gli eletti negli organismi istituzionali, conflitto di interesse o condizioni che possano danneggiare il partito e l’azione politica per il paese;
- ogni eletto/a dovrà sempre r4endicontare del proprio operato e la propria attività politica
- ogni dovrà contribuire alla vita del partito anche economicamente
- nessuno potrà candidarsi, anche per gli organismi interni al partito, coloro che hanno subito condanne a vario titolo, anche se non definitive per corruzione, concussione, e per fatti di particolare gravità (mafia, delitto, sfruttamento della prostituzione)

Mercoledì 20 febbraio è stato approvato il decreto applicativo per la formazione delle liste per le candidature alle prossime elezioni politiche.
Comunque, il testo completo dei tre documenti potete trovarlo nel sito: http://www.partitodemocratico.it/.

Nella giornata del 16, il coordinatore nazionale ha anche elencato i dodici punti che verranno sviluppati nella stesura del programma, speriamo sintetico, da proporre per il governo del paese durante la campagna elettorale, ormai già iniziata. Si parla di modernizzazione dell’Italia attraverso le infrastrutture; riduzione della spesa pubblica; lotta all’evasione fiscale e restituzione del maggior gettito alle famiglie; investire sul lavoro delle donne, salario minimo garantito e sicurezza sul lavoro; dote fiscale per i figli e con l’obiettivo di avere asili nido per almeno il 30% dei bambini; costruzione di campus scolastici; giustizia e legalità (non candidabile chi ha commesso reati), sicurezza ( certezza della pena) e, infine una TV di qualità (autonomia della politica dalla TV).
C’è ancora la possibilità di recuperare il terreno perduto (i dati lo confermano) dal Centro Sinistra dopo la caduta del Governo, l’impegno non manca, ma non possiamo non pensare anche alle elezioni provinciali e comunali del 2009 e alle regionali del 2010.
Anche di questo si è parlato all’assemblea provinciale del 23 febbraio. E’ stato eletto-riconfermato Fabio Rocco quale coordinatore provinciale del partito (era già stato eletto nel periodo di transizione dal 24 novembre al 23 febbraio, appunto). Il suo sarà un lavoro importante che dovrà guidare il partito a radicarsi nel territorio e ad avere quell’entusiasmo che può creare consenso per i prossimi appuntamenti e non solo.
Venerdì prossimo, 29 febbraio, si riunirà il coordinamento cittadino designato alle primarie del 10 febbraio per eleggere il suo coordinatore che, come ho già avuto modo di dirvi, sarà la candidata unica, Franca Delazzari, primario di gastroenterologia all’ospedale S.Antonio di Padova.

Che fatica partecipare!

Dò il benevenuto a voi che vi sottoponente al
sacrificio di esserci, di contribuire a questa finestra. Qui dialogo e
approfondimenti troveranno terreno fertile.
Alla fine:


"La laicità, intesa come principio di distinzione tra stato e
religioni, oggi non è solo accettata dai cristiani, ma è
diventata un autentico contributo che essi sanno dare
all'attuale società, soprattutto in questa fase di costruzione
dell'Europa:
non c'è contraddizione tra fedeltà alla Chiesa e attaccamento
all'istanza di laicità".

Enzo Bianchi "La differenza cristiana" ed.Einaudi


"E' un obbligo eterno fra esseri umani non far soffrire la fame ad alcuno quando si ha la possibilità di dargli assistenza"

Simone Weil

"Salvaguardare i diritti degli altri è il fine più nobile e bello di un essere umano"

Kahlil Gibran