Visualizzazione post con etichetta Sicuri...da chi?. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sicuri...da chi?. Mostra tutti i post

domenica 3 aprile 2011

Immigrati: regna la confusione, il dilettantismo e la mancanza di norme


di Nereo Tiso


Le notizie che arrivano da Lampedusa sono ormai sovrastate da ciò che succede in molte altri parti d’Italia nelle quali si sta aspettando o si cerca di gestire il flusso interminabile di persone che provengono dal nord Africa. Clandestini o rifugiati? Naturalmente per il ministro Maroni il numero dei rifugiati è molto alto tra quelli presenti e, soprattutto, tra quelli previsti, rispetto ai clandestini Ma tutti sanno che i tunisini non sono rifugiati e sono persone che cercano semplicemente una vita migliore e che i rifugiati praticamente non ci sono Sta di fatto che il ministro cerca di nascondere il dilettantismo con cui ha gestito tutta la vicenda; la disorganizzazione e l’approssimazione usate nell’affrontare l’emergenza , non lasciano intravedere niente di buono per il prossimo futuro. Ma a questo una ulteriore domanda il ministro dovrebbe porsela e forse, la risposta a questa domanda, è l’evidente deficit della legge Bossi-Fini sui respingimenti e sul fallimento dei CIE (Centri di identificazione e espulsione). Se i clandestini dovrebbero rimanere nel CIE per 6 mesi prima di essere espulsi, quanto tempo gli immigrati sbarcati a Lampedusa o in altra parte, che ormai scorazzano liberi e incontrollati in Italia, dovrebbero rimanere? Quanto tempo è previsto per la permanenza dei nuovi arrivati, visto che cerchiamo di inserirli in siti particolari sostitutivi dei CIE, ma che non possono essere considerati CIE. Non è un dettaglio qualsiasi. Naturalmente la risposta è esigente ma la sua, non può essere che una non risposta di fronte ad una emergenza incontrollata, a fughe dai pseudo centri che non hanno nulla dei CIE, all’annuncio di regioni e amministrazioni locali che rifiutano le tendopoli pensate dal governo perchè considerata un’accoglienza disumana e fuori controllo; dalla confusione degli stessi compagni di partito del ministro che, ci mancherebbe, non ne vogliano sapere dei clandestini o comunque dei nord africani e scaricano le responsabilità sul centrosinistra. Una confusione senza precedenti che svela il vero volto, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di questo governo. E come pensa di rimpatriare i clandestini secondo quanto previsto dalla legge? A cento al giorno come afferma il presidente del consiglio? Spero si renda conto che la propaganda e le norme inesistenti, l’incapacità di trovare delle soluzioni al posto delle chiacchiere e di garantire i cittadini che si trovano in una situazione già difficile, soprattutto in alcune zone dove il verbo leghista della sicurezza ha fatto breccia, non paga più. Tutti aspettano chiarezza e norme precise sulla gestione dell’emergenza e, soprattutto, su come sarà il futuro di queste persone che, ormai, hanno fatto dell’arte di arrangiarsi il loro motto, alla faccia di ciò che per anni ha sbandierato la Lega su legalità e sicurezza. Non a caso anche i cittadini di Padova chiedono chiarezza sulla loro città dopo che sono stati annunciati dallo stesso ministero insieme al presidente Zaia, centinaia di immigrati previsti per la caserma Romagnoli. Cosa diremo ai nostri cittadini? Perché la Lega pensa a Padova e non a Cittadella (lo sappiamo bene)? Quanti giorni rimarranno? Dove andranno? Come evitare che in pochi giorni avvengano fughe incontrollate? Mancano le leggi, manca una progettualità e ripensare la legge Bossi-Fini senza demagogia è una ulteriore emergenza. Nel frattempo a farne le spese del non governo sono le persone coinvolte: gli immigrati e gli italiani.

domenica 17 gennaio 2010

Il fallimeto della Bossi-Fini e la Lega di casa nostra

Quando c'è violenza deprecabile esiste anche una causa che la origina allo stesso modo deprecabile. Se le ragioni stessero solo sui fatti di Rosarno forse avremmo risolto il problema o almeno avremmo capito. Ma non è così. Infatti, lo stesso ministro Maroni nel suo ragionamento di oggi capisce che la legge che prende il nome dal suo segretario di partito e dal Presidente della Camera ha portato pochissimi benefici al paese tanto che egli stesso la ritiene inaffidabile. Grande coerenza caro ministro! Sta di fatto che si continua a governare con il consenso della paura che si spalma a macchia d'olio in tutta Italia. Possibile che nessuno sia in grado di capire che il metodo finora utilizzato, gli strumenti e forse anche i termini tutti ideologici finora usati non hanno funzionato e quindi se una cosa non funziona si cambia? Ministro Maroni, riconosca che avete sbagliato e tutta la vostra propaganda non ha dato ad oggi nessun risultato? Dovete cominciare ad usare altre parole alle quali non siete abituati: integrazione. Lo dica anche ai leghisti di casa nostra che continuano a raccogliere firme fomentando paura e disagio tra le persone per uno capannone acquistato regolarmente da un'associazione di cittadini musulmani e che verrà utilizzato come luogo di preghiera. Vorremmo forse violare il diritto di proprietà per impedire la preghiera? Cerchiamo di capire che la preghiera si farà e ci sarà un luogo di culto per i musulmani che hanno il diritto costituzionale di poter pregare. Forse la fede si può barattare e la preghiera vietare? Ma per favore! Ormai i luoghi di culto sono considerati dalla Lega alla stregua di covi per terroristi. Voi, cari leghisti padovani e italiani, volete creare barriere senza offrire nulla in cambio. Certo è che il luogo di culto dovrà, come tutti i luoghi, essere controllato perché non ci sia qualche pazzo dentro o fuori dal luogo di culto e tutti dovranno comportarsi secondo le regole democratiche. La battaglia, colleghi Mazzetto e Salmaso, l’avete persa perché la preghiera islamica si farà. In luogo stabilito e regolarmente acquistato. Quindi dove sta il problema? Il problema ormai siete voi che a livello governativo avete dimostrato il fallimento nelle politiche per l'immigrazione e a livello locale finora avete continuato a cercare consenso creando disagio tra le persone senza avere proposte serie oltre la solita propaganda ormai stonata. Lavorate per risolverli i problemi, non per crearli. Spero che tutto ciò non sia il solito mascherato argomento per difendere le tradizioni cristiane perché i primi a non crederci sono proprio i cristiani.

lunedì 2 novembre 2009

Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912)


“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.Le nostre donne li evitano non solo perché sono poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione!.

Come muore un uomo...

di Nereo Tiso
Non abito a Scampia, non sono un camorrista, non sono un killer, spero di essere, diciamo, uno come la maggior parte di noi, con l'uso della ragione. Di fronte all'esecuzione di Napoli portata alla luce del sole dai magistrati rimango senza parole e con un senso di profonda angoscia. Le parole fanno fatica a concatenarsi e la repulsione di fronte a questo delitto, per me mostruoso, è totale. Non avevo mai visto prima d'ora l'uccisione di un uomo, tranne che nei film. Chi, purtroppo invece, è costretto a convivere con la violenza e la morte, talvolta traendone beneficio, non ci fa caso e "passa oltre". Diciamo che è un problema del quale è meglio non occuparsene: non devo guardare, non devo ascoltare, non devo chinarmi sull'uomo morto e, se voglio pregare, devo farlo in segreto. Sembra che uomini e donne di questa Italia, rassegnati della loro condizione di sottomissione, abbiano posato le armi della ragione ascoltando solo il rumore delle armi di chi, con disinvoltura e freddezza, le usa contro un altro uomo per vendicarsi di uno sgarro poco onorevole. Finchè scrivo questa nota mi ritornano in mente quelle immagini: la morte, l'indifferenza, i bambini che passano con i loro genitori, distratti di fronte a chi, grondante di sangue e colpito a morte, ormai, non è più un uomo. E mi vengono in mente anche le parole di primo Levi che, gridate da un altro luogo con sofferenze ben diverse, ma che alla fine dicono "dite voi se questi sono uomini".Non so nemmeno se posso indignarmi, se ne ho il coraggio, il diritto, la forza. Troppe volte senti parlare di morti: sulle strade, per cause accidentali, ma questi sono "morti ammazzati". Non so nemmeno se esista l'indifferenza tra la gente di Scampia o che invece ci si avvalga della quotidianità. Come fosse la facoltà di non porsi domande e, quindi, di non rispondere.Ora, rimango nel silenzio e spero che gli amici di fb parlino almeno tra di loro: l'uomo rimane sempre uomo.

domenica 26 aprile 2009

Clandestini, la pietà svanita

di Ilvo Diamanti

Cambiano i tempi. Ma gli immigrati non si fermano. Nonostante governino forze politiche inflessibili e "cattive": gli stranieri continuano ad arrivare. Da est e da sud. Per terra e soprattutto per mare. Con ogni mezzo. Barche, barchini, barconi e gommoni. Partono in tanti. Ogni giorno. Uomini, donne e bambini. E in molti non arrivano. Quel piccolo pezzo di mare che separa l'Africa dalla Sicilia è un cimitero dove giacciono un numero imprecisato di imbarcazioni e migliaia di persone. Gli stranieri continuano ad arrivare. Da est e da sud. Per terra e soprattutto per mare. Con ogni mezzo. Barche, barchini, barconi e gommoni. Partono in tanti. Ogni giorno. Uomini, donne e bambini. E in molti non arrivano. Quel piccolo pezzo di mare che separa l'Africa dalla Sicilia è un cimitero dove giacciono un numero imprecisato di imbarcazioni e migliaia di persone. Persone? Per definirle tali dovremmo "percepirle". Invece non esistono. Sono "clandestini" quando si mettono in viaggio e quando riescono ad entrare nei paesi di destinazione. Ma anche quando vengono ammassati nei Cpa. Migranti perenni. Non riescono a trovare una nuova sistemazione - stabile e riconosciuta - ma non possono neppure tornare indietro. Come i 140 stranieri raccolti e trasportati dal cargo Pinar. Rimpallati fra l'Italia - che alla fine li ha accettati - e Malta. Indisponibile. Perché la fuga dall'Africa e dall'Asia, come l'esodo dai paesi dell'est europeo, spaventa tutti i paesi ricchi. Non solo noi. La vecchia Europa vorrebbe diventare fortezza. Trasformare il Mediterraneo in un canale inaccessibile. A cui mancano i coccodrilli, ma non gli squali. Eppure, nonostante la politica della fermezza, la tolleranza-meno-uno, i Cpa e migliaia di espulsioni.
OAS_RICH('Middle');
Nonostante tutto: i flussi non si fermano. Gli sbarchi proseguono senza sosta. Da gennaio ad oggi: oltre seimila. Il doppio rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Che già aveva segnato il livello più alto della nostra storia di immigrazione. Breve e travolgente. Nel 2008 erano sbarcati sulle nostre coste 37mila stranieri. Quasi il doppio del 2007. Difficile non nutrire dubbi sulla produttività delle nostre politiche e della nostra politica. Anche se l'attuale maggioranza di governo ha vinto le elezioni promettendo di fermare gli stranieri. Di bloccare l'invasione. Con le buone ma soprattutto con le cattive. Propositi chiari ma, fin qui, inattuati. Semplicemente perché inattuabili. Quando a migliaia intraprendono il viaggio sulle carrette del mare, stipati come animali. Come i disperati del Pinar. Dietro alle spalle le storie terribili raccontate da Francesco Viviano, su queste pagine, nei giorni scorsi. In fuga da persecuzioni, conflitti etnici. Dalla fame. Disposti a tutto. A ogni costo. Come la ragazza annegata con il suo bimbo in grembo, nelle acque davanti a Malta. Questa emigrazione è una tragedia senza fine. Che, tuttavia, non ci commuove. Anzi, suscita perlopiù distacco e ripulsa. Difficile non cogliere la differenza con l'onda emotiva e la solidarietà sollevate dalla catastrofe in Abruzzo. Ma noi riusciamo a provare pietà e solidarietà solo quando le tragedie accadono sotto i nostri occhi. Quando i media le illuminano, minuto per minuto, luogo per luogo, in modo quasi compiaciuto. Quando la politica le accompagna e le segue da vicino. Perché si tratta della "nostra" gente. Allora ci emozioniamo. Gli "altri", invece, non hanno volto. Le loro tragedie non hanno quasi mai le aperture dei tigì. Gli sbarchi vengono raccontati come una calamità. Per noi. E a nessuno, comunque, verrebbe in mente di organizzare un G8 a Lampedusa. Non solo per ragioni logistiche. Naturalmente, si tratta di considerazioni che possono apparire "buoniste", fradice di retorica. E con la retorica non si risolvono i problemi. Non si proteggono le città insicure. I cittadini minacciati dalla nuova criminalità etnica, dai clandestini che affollano le periferie. D'altronde, in pochi anni siamo diventati un paese di grande immigrazione. Quasi come la Francia e la Germania. Fino a ieri eravamo noi, italiani, a disperderci nel mondo, a milioni, per fuggire la miseria. Ora invece ci sembra che il mondo si stia rovesciando su di noi. E questo mondo è troppo grande per stare dentro a casa nostra, dentro alla nostra testa. Noi non siamo in grado di controllarlo né di comprenderlo. Non ci riusciamo noi. Ma non ci riescono, soprattutto, i poteri economici e finanziari, le istituzioni di governo. In balia dei collassi delle banche e delle borse, delle guerre, del terrorismo, delle epidemie. La politica. Non riesce a difenderci ma neppure a spiegarci ciò che avviene. E rinuncia a contrastare le nostre paure. Anzi, complici i media, le enfatizza. Inventa muri e confini che non esistono. Promette di chiudere i nostri mari, di sbarrare le frontiere. Promette di difenderci, a casa nostra, dagli stranieri che si insinuano nei nostri quartieri. Ricorrendo a iniziative a bassa efficacia pratica e a elevato impatto simbolico. Come le ronde. I volontari della sicurezza locale. Dovrebbero esercitare il controllo sul territorio un tempo affidato alle reti di vicinato, alla vita di quartiere, alla presenza quotidiana delle persone. Rimpiazzando una società locale che non c'è più. La politica. Promette di difendere la nostra identità, la nostra religione, la nostra cultura, la nostra cucina. E per questo combatte contro la costruzione di moschee. Oppure lancia battaglie gastroculturali. Contro i cibi consumati per strada. Anzitutto e soprattutto: contro il kebab. Insieme alle moschee: icona dell'islamizzazione presunta del nostro paesaggio e della nostra vita quotidiana. La politica e le politiche usate come placebo. Per rassicurare senza garantire sicurezza. Per guadagnare voti e consenso. La Lega, secondo i sondaggi, sembra essere riuscita a superare i confini del Nord padano e ad espandersi nelle regioni dell'Italia centrale. Tradizionalmente di sinistra. Ma la retorica della "protezione dal mondo", la costruzione della paura: non riguardano solo la Lega. E neppure la destra. Perché gli stranieri possono "servire", politicamente e culturalmente, ma tanto in quanto le distanze fra noi e loro sono visibili e marcate. Tanto in quanto restano stranieri. Oggi, domani. Sempre. Lontani e diversi. In questo modo ci permettono di ritrovare noi stessi. Di ricostruire - artificialmente, per opposizione e paura - la nostra identità e la nostra comunità perduta. A condizione di fingere: che le nostre frontiere immaginarie, i nostri muri emotivi possano arrestare l'onda degli stranieri. A condizione di non vedere. Diventare ciechi e cinici. Perdere gli occhi e il cuore.

lunedì 26 gennaio 2009

La speranza della paura...


di Nereo Tiso
Sembra un po’ paradossale, ma in effetti finché la paura sarà gestita e garantita, non verrà mai meno e, anzi, sarà efficace soprattutto per creare consenso. Nel senso che lancio il sasso nello stagno; dico di risolvere i problemi tranquillizzando i cittadini, ma alla fine, è la non tranquillità che mi crea il consenso. Ed ecco quindi gli ultimi provvedimenti, non ancora divenuti legge, che hanno in qualche modo cercato di “tutelare” i cittadini dai clandestini. Un primo provvedimento è il “reato di clandestinità”. Le persone senza permesso di soggiorno, non forzatamanete clandestini, presenti sul nostro territorio (circa 700.000) e i nuovi arrivati (46.000 nel 2008), solo per il fatto di essere presenti e non di essere entrati, commetteranno reato e potranno essere perseguite. Capito che arrestare tutti aveva qualcosa che andava a gravare in modo significativo sul bilancio dello stato, ecco trasformare l’arresto con l’ammenda da 5 a 10.000 euro. Non solo, ma chi cercherà di nascondere un o una clandestina, verrà denunciato. Oppure ancora, obbligo di fideiussione di 10.000 euro per gli stranieri che vogliono aprire una attività in proprio. Ma non basta. La Regione Friuli propone l’eliminazione dell’assistenza sanitaria per i clandestini contravvenendo, tra l’altro, alla legge Bossi-Fini che parla di tutela del diritto alla salute e al DL 286/98 che prevede cure ambulatoriali e ospedaliere anche se non essenziali. La regione Veneto, nonostante lo sbraitare, fa marcia indietro E ancora, è in discussione la proposta di aumentare il costo per la richiesta di permesso di soggiorno di 200 euro. Di fronte a ciò, ci si pone il problema se la questione immigrazione può essere affrontata solo con provvedimenti volutamente senza futuro se non quello di far crede di risolvere i problemi dell’immigrazione creando uno stato d’animo carico di tensione che si attenua in ragione del provvedimento ma che, di fatto, non risolve io problema e non elimina la paura. Perché? Chi controllerà i clandestini? Forse verranno investiti i comuni? Con quali risorse? Forse si spera che aumentando la tassa per il permesso di soggiorno si arrivi a far emergere la clandestinità o piuttosto, dato che bisogna pagare, questo provvedimento non la favorirà? E se un’anziana con pochi euro di pensione ospita in casa sua una donna senza permesso di soggiorno (clandestina?) solo perché non si riesce ad averlo, arrivata un attimo dopo la chiusura delle liste, cosa si fa? Si mette in galera l’anziana, si multa la clandestina, e la si espelle? Alla fine, segnali di fumo per inebriare. Semplice, no! Il travisamento della realtà, creando angoscia e paura soprattutto nelle persone più deboli; i provvedimenti che non offrono speranza, ma che scelgono sempre l’ossessiva ricerca del male, tentando delle risposte per un’effimera sensazione di sicurezza, offrono forse, soluzioni a breve che però, se non associate a una seria e lungimirante proposta di integrazione (non di assimilazione), di scolarizzazione, di riconoscimento delle potenzialità altrui, del lavoro, della ricchezza creata ormai necessaria alla nostra economia e al nostro sviluppo non si potrà far crescere una società nuova e giusta. Forse qualcuno pensa che, nel mondo globalizzato nel quale l’abbattimento delle frontiere sarà continuo, potremo fermare chi viene nel nostro paese in qualsiasi modo? Forse pensiamo che i reati e le vessazioni dei provvedimenti faranno sentire gli italiani più italiani, più tranquilli e più sicuri? Se da una parte la sicurezza deve essere garantita ai cittadini quale valore per una convivenza serena, nell’osservanza delle leggi e nella certezza della pena, dall’altra parte aspirare a una trasformazione positiva del nostro modo di vivere accorgendoci che non è con la paura che si risolvono i problemi, può dare quella fiducia che manca nella sola repressione. Religioni, culture, ma soprattutto uomini e donne dovranno assumersi responsabilità sempre più importanti con garanzia di reciprocità e attenzione. Agire perché questo avvenga sempre in modo pacifico e costruttivo, nel rispetto e nel dialogo, prevenendo ogni tentazione di conflitto e di sopraffazione, diventa una condizione necessaria. Ridurre la propaganda, affermare la legalità, non coltivare la paura e prepararsi al futuro altrimenti i nostri figli, cosa diranno dei loro genitori? Certamente non ci si asciugherà le lacrime con un fazzoletto verde.



lunedì 2 giugno 2008

Il vero cristiano si vede dai clandestini


Enzo Bianchi - La Stampa


Le preoccupazioni che anche recentemente ho avuto modo di esprimere sul clima di intolleranza nei confronti degli stranieri non fanno che crescere in queste ultime settimane.Le poche voci che si levano a chiedere maggior prudenza e discernimento nel parlare e agire in una questione così complessa e delicata finiscono con l’essere sommerse dall'onda di una emotività che, se non creata ad arte, è quantomeno alimentata per ragioni non sempre trasparenti. Parimenti sono trattati come irrilevanti, inappropriati o intempestivi gli appelli alla salvaguardia della giustizia e dei diritti umani o all'accertamento delle responsabilità individuali. Principi fondamentali del diritto nazionale, comunitario e internazionale, come la non discriminazione in base all'appartenenza etnica o religiosa, vengono declassati a secondari di fronte alla percezione di una «emergenza» che, anche se fosse tale, non dovrebbe però mai sospendere le garanzie essenziali della convivenza civile.Tutto questo, si dice, è per rispondere in modo tempestivo e credibile alla pressante richiesta di «sicurezza» che viene dalla maggioranza della popolazione. Ma essere attenti a sentimenti diffusi nella società, ascoltare le paure che emergono, cogliere i bisogni e le richieste avanzate in modi propri e impropri non significa cessare di interrogarsi su cosa e chi le genera, non comporta l'abdicare ai principi fondanti il vivere insieme, non richiede l'abdicazione della ragione e dell'umanità di fronte alla passione emotiva. È proprio di fronte alle «emergenze», vere o artefatte che siano, che vengono alla luce le radici autentiche di un tessuto sociale e la solidità di convincimenti etici e religiosi: un orientamento etico e un impianto giuridico non possono essere considerati validi solo in situazioni di ordinaria amministrazione e poi essere accantonati o stravolti all'insorgere di problematiche inedite. È proprio la capacità di elaborare risposte coerenti a una serie di convincimenti fondamentali e condivisi che conferisce identità e solidità a una comunità nazionale nel mutare degli eventi storici. Saldezza di principi e identità culturale non sono affatto realtà statiche, immutabili: sono il frutto di secoli di maturazione del pensiero e dell'azione di singoli individui e di gruppi sociali a volte anche molto distanti tra loro nell'opzione ideologica di fondo.Dialogando si può e si deve ricercare, inventare, concordare non un «minimo comune multiplo» ma un ideale abbastanza alto per stimolare la dinamica della vita sociale, aprire nuovi orizzonti, offrire speranze alle generazioni future e, nel contempo, sufficientemente realista da poter essere calato con efficacia nel vissuto quotidiano.In questo senso la presenza di stranieri nel nostro paese e, in particolare quella di gruppi etnici o religiosi marcatamente «altri» rispetto alla maggioranza, non è tanto una minaccia alla situazione esistente quanto un'occasione preziosa per verificare cosa davvero conta per noi nelle nostre vite e quale prezzo siamo disposti a pagare per ciò in cui crediamo. Del resto ci sono nodi che è inutile fingere di ignorare, quasi che rimuovendo il problema lo si risolva: come dimenticare, per esempio, che solo qualche anno fa vi era chi auspicava di favorire l'immigrazione da paesi di tradizione cristiana piuttosto che musulmana pensando così di facilitare ipso facto l'integrazione dei nuovi arrivati? I gravissimi episodi di intolleranza e xenofobia nei confronti di zingari e romeni - in maggioranza di religione cristiana - dimostrano purtroppo la miopia di tale auspicio: i problemi erano e sono di altro tipo. Anche per quanti si richiamano al cristianesimo la situazione di queste settimane dovrebbe costituire un campanello di allarme: che cultura, che etica della vita si vuole comunicare?Che ne è dell'attenzione al povero, allo straniero, alla vedova e all'orfano - cioè alle categorie che non avevano diritti ed erano indifese alla mercé dei più forti? Che ne è dell'esempio delle prime comunità cristiane in cui si tendeva a che non ci fosse «nessun bisognoso» grazie alla condivisione, né si ammettevano discriminazioni nell'appartenenza tra giudeo o greco, uomo o donna, schiavo o libero?Che ne è delle parole di Gesù sull'amore per i nemici, sul perdono, sulla misericordia; o delle esortazioni dell'apostolo Paolo a «non rendere a nessuno male per male», a «vincere il male con il bene», a «cercare sempre il bene tra voi e con tutti»?E, per calarci direttamente nelle problematiche odierne, che ne è delle parole che Paolo VI pronunciò nel 1965 a rom e sinti: «Voi siete nel cuore della Chiesa»? A quale conversione hanno spronato le richieste di perdono fortemente volute da Giovanni Paolo II come momento penitenziale del Giubileo del 2000? Utopie irrealizzabili, verrebbe da dire di fronte alla vastità dei problemi che il fenomeno mondiale delle migrazioni pone alle nostre società occidentali più ricche, ma la differenza cristiana che queste istanze evangeliche pongono come ineludibile si misura anche e soprattutto nelle circostanze più difficili.E non può non interrogare tutti - credenti e non credenti - il malcelato scherno con cui da più parti si stronca ogni richiamo verso una maggior giustizia ed equità sociale, verso una solidarietà fattiva, additandolo come «buonismo» pericoloso, denigrando le «anime belle» che credono nella forza della persuasione, del convincimento, del dialogo, della pace.Siamo davvero convinti di difendere la nostra identità di popolo e nazione civile fomentando il ritorno alla barbarie dell'homo homini lupus? Che «sicurezza» sarebbe mai quella imposta con la violenza, il sopruso, la vendetta, la violazione dei principi costituzionali? Se quella in cui siamo scivolati è un'emergenza, essa non ha il nome di un'etnia ma quello della nostra civiltà.

lunedì 26 maggio 2008

Ma la paura è una cosa seria

Ilvo Diamanti

E' VERO: c'è una distorsione elevata fra percezione e realtà. Fra l'insicurezza e i motivi usati, normalmente, per spiegarla. Ormai è quasi uno slogan che echeggia in ogni discorso. Quasi un riflesso pavloviano. Proviamo crescente paura della criminalità anche se la criminalità diminuisce oppure, comunque, non aumenta. Una considerazione banale. Osservare che non c'è motivo di avere paura. Però se abbiamo paura qualche motivo c'è. E comunque: abbiamo paura. Questa è l'unica realtà. Per l'uomo politico, l'amministratore; il "responsabile" della nostra sicurezza, la soluzione migliore è, dunque, di assecondare le nostre paure. Fornirci immagini, a modo loro, rassicuranti per curare la nostra insicurezza. Dirci che non è colpa "nostra", ma degli "altri". I "microcriminali" ("tanto piccoli che quando ci muoviamo richiamo di calpestarli", ironizzava Marco Paolini, in una pièce di qualche anno fa: il "Bestiario Veneto"). Gli immigrati. Gli zingari. Gli altri, che ci minacciano. Perché violano, anzitutto, la nostra nostalgia. Il nostro senso di comunità spezzato. Il nostro piccolo mondo schiacciato dal mondo più grande che grava, incombe su di noi. Valutazioni realistiche e perfino scontate. Dette così, tra persone colte e ragionevoli, come siamo noi, possono risultare convincenti. Però vi sfido a fare lo stesso discorso alla gente che incontrate ai supermercati. All'uscita oppure all'ingresso. Mendicanti, accattoni, zingari, stranieri. Magari i tossici. Provate a dire alla "gente comune": sbagliate a temere queste figure. I marginali, gli ultimi del nostro piccolo mondo. Voi non vi rendete conto, ma in effetti, è il mondo "in grande" che vi spaventa. La vostra insicurezza è "ontologica", come direbbe Bauman. O forse Giddens. Nasce da lontano. Dalla crisi dei riferimenti cognitivi, dei fondamenti di valore, dell'ordine globale. E' questo che mina il senso della vostra vita. Poi, verificate le reazioni dei vostri interlocutori. Nel migliore dei casi, vi guarderanno con compassione. Come dei matti. O dei poveracci. Al pari di quelli che stazionano all'ingresso ( all'uscita) del supermercato. Dipende dai punti di vista. Il problema è questo: le spiegazioni più "radicali", quelle che isolano e individuano i problemi "alla radice" e permetterebbero, quindi, di "sradicarli", sono anche le più difficili da attuare. Perché richiedono tempi lunghi. Perché fanno riferimento a ragioni lontane da noi. Nel tempo, nello spazio. Ma, soprattutto, queste spiegazioni sono comunque complesse. Difficili da chiarire e da capire. E quand'anche vi foste riusciti, quando, cioè, il vostro interlocutore avesse compreso che sì, la fonte della sua insicurezza non è (solo) lo zingaro, l'immigrato, l'accattone, lo sfigato, il tossico. Ma è la globalizzazione. Oppure la perdita della comunità. La scomparsa del territorio. L'urbanizzazione sconvolgente che sconvolge le menti e le solidarietà. Quand'anche foste riusciti a chiarirlo bene, al vostro interlocutore - e, se fate politica oppure siete un amministratore: al vostro elettore. Poi, che cosa gli dite? Quale soluzione gli proponete? Di tornare indietro nel tempo? Al passato tanto bello in confronto a questo presente desolante? Oppure di distruggere palazzi, condomini e piazze per ricostruire l'ambiente umano di un tempo? Anche voi, dei "ragazzi della via Gluck", dediti a constatare, in modo poetico e dolente, che "là dove c'era l'erba ora c'è una città" (e campi nomadi, baracche, ecc.)? Questo mi pare il problema maggiore per quanti avversano, giustamente, una concezione dell'insicurezza che tutto riduce alle "minacce nei confronti dell'incolumità personale". E diffidano di politiche securitarie che, invece di curare l'insicurezza, la moltiplicano. Politiche e provvedimenti miopi, incapaci di vedere (e pre-vedere) oltre la punta del naso. Ma se non hai soluzioni diverse, concrete, che, comunque, promettano (a torto o a ragione, non importa) risultati reali e realistici, rischi di passare per un "nane" (si direbbe dalle parti mie). Tradotto: un idealista un po' sciocco. Un poco tonto. A cui pochi si affiderebbero per risolvere problemi veri e drammatici, come la sicurezza. Per questo occorre prendere le percezioni sul serio. Senza contrapporle alla realtà. Perché sono più reali della realtà reale. Prendere le percezioni sul serio. Ma senza crederci seriamente. Senza indossare, anche no, gli stessi occhiali deformanti. Come fanno molti uomini di governo centrale e locale che - ormai senza distinzione politica - inseguono le spiegazioni facili e semplici. Non solo operano per ristabilire la pulizia e la polizia dell'ambiente, contro zingari, accattoni, tossici e immigrati - naturalmente irregolari. Per le ragioni che ho scritto: è comprensibile. Ma neppure credibile che il problema stia lì. Che la causa siano gli "altri". Ma se non è credibile, meglio non crederci e non farlo credere alla gente. Le percezioni: sono reali. Vanno prese sul serio. Trattate con rispetto. Tanto più le persone che esprimono. I "portatori sani" di giudizi indimostrati. Di pre-giudizi. Vanno prese sul serio. Però fingere di crederci. Anzi: crederci davvero. Questo no. Rispettare chi crede a una realtà irreale. Rispettare l'irrealtà come una forma di realtà. Tutto questo va bene. Ma considerare reale la realtà irreale. Anzi: l'unica realtà possibile. Dare ragione a chi la considera "vera". Ribadirne le convinzioni in modo convinto. No. E' troppo. Il divario tra percezioni e realtà, va ridotto, se possibile. Ma non solo e non necessariamente dalla parte della percezioni. Meglio lavorare per verificarle. Se necessario: smentirle e contraddirle. Senza rassegnarsi al "senso comune". Alle verità date per scontate, quando scontate non sono. Anche se e quando le "nostre" verità provate sono poco visibili, frustranti da accettare. Se contraddicono le verità percepite e i miracoli promessi. Se evocano soluzioni lontane e sgradevoli, perché coinvolgono "noi" e non solo gli "altri". Se le nostre ragioni appaiono poco ragionevoli alla gente, meglio essere prudenti e umili. Senza rinunciare alle nostre ragioni, per il timore di passare da "nane". Meglio nane che mona.

Che fatica partecipare!

Dò il benevenuto a voi che vi sottoponente al
sacrificio di esserci, di contribuire a questa finestra. Qui dialogo e
approfondimenti troveranno terreno fertile.
Alla fine:


"La laicità, intesa come principio di distinzione tra stato e
religioni, oggi non è solo accettata dai cristiani, ma è
diventata un autentico contributo che essi sanno dare
all'attuale società, soprattutto in questa fase di costruzione
dell'Europa:
non c'è contraddizione tra fedeltà alla Chiesa e attaccamento
all'istanza di laicità".

Enzo Bianchi "La differenza cristiana" ed.Einaudi


"E' un obbligo eterno fra esseri umani non far soffrire la fame ad alcuno quando si ha la possibilità di dargli assistenza"

Simone Weil

"Salvaguardare i diritti degli altri è il fine più nobile e bello di un essere umano"

Kahlil Gibran