giovedì 20 agosto 2009

La scuola? E’ in vacanza.

La scuola ha chiuso da un pezzo i battenti. Le scuole superiori, per ultime, hanno dato il loro responso. Omai si rientra nella consuetudine. Ciò che non può essere consuetudinario, è il silenzio di cui è stata avvolta l’istituzione scuola come se le vacanze avessero dissolto, con un bagno refrigeratore al mare o una passeggiata ristoratrice in montagna, il pensiero di chi si occupa di queste cose. Pensiero che si rivolge al mese di settembre quando avrà inizio l’anno scolastico. Le scuole primarie, ora, si staranno arrabattando per capire bene cosa succederà, come dovranno organizzarsi con il maestro unico, con la scuola a tempo lungo o pieno e come rimodulare l’offerta formativa che non dovrebbe essere inferiore a quella proposta per gli anni precedenti. Ci sono le scuole superiori che subiranno una radicale trasformazione a partire dall’anno scolastico 2010/2011 e che, entro il 25 gennaio, dovranno accogliere gli iscritti alle classi prime senza sapere chiaramente cosa proporre. Anzi, l’incontro tra la “domanda e l’offerta” di formazione è ancora confusa. Infatti i ragazzi che concluderanno la scuola media il prossimo anno dovrebbero già aprire gli occhi ad ottobre cercando di orientarsi di fronte all’offerta che ogni scuola superiore propone. Ma quale scuola? Quale liceo o quale istituto tecnico? Certo, domande che si ripetono da anni con le stesse preoccupazioni da parte di ragazzi e famiglie. Di fronte, certamente, avevano un panorama orientativo ampio, molto diverso e diversificato. A guardare bene, l’anno scorso si è protestato molto, si è scioperato soprattutto per l’organizzazione dell’orario delle scuole elementari che metterà in grossa difficoltà le famiglie nelle loro abitudini e nei loro orari spesso inconciliabili con quelli scolastici. Un inizio d’anno molto incerto. Ma ciò che stupisce è che di fronte alla crisi economica e sociale che si sta vivendo e che avrà, nel mese di settembre, almeno dalle notizie che arrivano, un risvolto pesante, non siamo ancora riusciti con forza ad indignarci per la mancanza di futuro per i nostri figli in ragione della prospettiva di avere meno formazione e meno istruzione. I paesi del nord Europa hanno, guardando alla crisi, l’hanno affrontata con massicci investimenti nella scuola, nell’istruzione e nella formazione in genere perché il futuro di un paese si prepara solo ed esclusivamente pensando in maniera adeguata le nuove generazioni. Noi invece ci siamo occupati d’altro. Certo, regole chiare sugli obiettivi e investimenti che producano risultati. In mancanza di un grande piano sull’offerta formativa saremo, tra vent’anni, a piangere sull’indagine OCSE PISA che ci dirà, ancora una volta, che i nostri alunni saranno meno preparati rispetto agli altri d’Europa. E piangeremo, e questo sarà ancora più grave, la mancanza di persone adeguatamente formate, in grado di migliorare il nostro paese. I pochi che ci saranno andranno all’estero, come adesso d’altronde, probabilmente unico modo per indignarsi.

Nereo Tiso
Consigliere Comunale PD
Padova

Religione a scuola: sentenze, ricorsi…alunni e insegnanti


In mezzo all’afa di ferragosto è arrivata l’ennesima sentenza che fa discutere. Stavolta, diciamo che è una sentenza, quella del TAR del Lazio con valore su tutto il territorio nazionale, che si sovrappone a molte altre sentenze di altri TAR regionali in merito alla “discriminazione” che gli alunni non avvalentisi dell’insegnamento della religione cattolica subirebbero rispetto ai loro compagni che se ne avvalgono . Ed ecco che cominciano i confronti serrati, gli scontri, i ricorsi, le polemiche politiche e i vari tentativi di portare dalla propria parte la sentenza degli stessi giudici oppure, cercare di renderla inefficace. Chi insegna religione da anni, sa bene che non c’è mai stato un solo anno in cui non ci sia stato un ricorso, una sentenza e la conseguente polemica. Tutto ciò non gli ha impedito di recuperare la sua dignità di insegnante e lavoratore lottando per i diritti che gli venivano negati (trattamento per maternità e malattia non paritario; nessun permesso retribuito per studio, non concessione del part-time per chi ne faceva richiesta, ecc.). Certo aiutati dalle organizzazioni sindacali. Non da tutte. Per alcune l’insegnante di religione non è né di serie A, né di B, né di C; più semplicemente non esiste. O meglio esiste in quanto “anomalia” della scuola italiana.
Se si va a guardare all’Europa, la situazione è molto complicata, ma è necessario dire che, se si prescinde da tre paesi e cioè Francia (ad eccezione di Alsazia e Lorena. Nella Francia laica, tra l’altro, gli insegnanti delle scuole private, pur facendo percorsi diversificati rispetto agli insegnati statali, vengono pagati dallo stato:legge n. 59-1557 del 12/1959. E le scuole private, la maggioranza delle quali cattoliche, sono frequentate, anche da moltissimi non cattolici), Slovenia , e Ungheria (anche lì con qualche eccezione), in tutti gli altri paesi si insegna religione. Certo, varie sono le confessioni cristiane e le religioni non cristiane riconosciute dagli stati, ma comunque l’insegnamento esiste, facoltativo o meno, con l’ora alternativa o meno, con insegnanti di ruolo o meno, designati dalla Chiesa/e o meno e pagati dallo stato; comunque esiste ed è riconosciuto.
Da ventidue anni insegno religione e le polemiche tra chi sta da una parte e chi sta dall’altra, non mi mettono più molto a disagio. Riconosco che il nostro insegnamento ha la sua forza perché è debole e noi, insegnanti, cerchiamo di dare strumenti perché gli alunni (il 91% degli alunni italiani iscritti mi sembrano moltissimi) possano con la loro capacità critica e la loro determinazione capire e imparare. Sarà che disponiamo di una valutazione (voto? crediti?) debole che alla fine è un giudizio sintetico (Regio Decreto del 1930); sarà che abbiamo l’idoneità dell’ordinario diocesano, ma abbiamo titoli di studio teologici riconosciuti legalmente e titoli di università statali, corsi di aggiornamento, e molti di noi hanno superato un concorso pubblico (Legge, 186/2003); sarà che cerchiamo di dare il massimo come tutti gli altri insegnanti nella scuola; sarà che riteniamo il nostro insegnamento, soprattutto in un momento storico dove tutto viene televisivamente annacquato, un plus valore formativo ed educativo per gli alunni. Che “devono” essere valutati sulle capacità, sulle competenze, sul dialogo educativo, sul comportamento, ecc. .E non sono solo cattolici gli avvalentisi. Per quanto mi riguarda, ma sicuramente non sono il solo, in classe sono entrati: cattolici, atei, agnostici, indifferenti, protestanti, ortodossi, confuciani, musulmani, testimoni di Geova. Talvolta anche coloro che non si avvalevano. Credo che il pluralismo religioso che si incontra a scuola oltre a quello delle culture dev’essere valorizzato assieme a chi non appartiene a nessuna religione. Ignorare comunque, nella nostra storia e nella nostra tradizione chi è Gesù Cristo, penso sia banalizzare anche le altre religioni presenti sul territorio. Per coloro che non si avvalgono sarebbe invece giunto il momento di trovare una vera alternativa culturalmente valida, nella quale impegnarsi ed essere valutati. Sul nulla, comunque e sempre, non si può valutare. Infine, a prescindere dalle polemiche, spero resti la stima dei miei alunni a garanzia del mio insegnamento. Penso che per un insegnante non si possa aggiungere altro al suo insegnamento. Si potrà cambiare? Non certo con le sentenze.

Nereo Tiso
Consigliere comunale PD - Padova
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Che fatica partecipare!

Dò il benevenuto a voi che vi sottoponente al
sacrificio di esserci, di contribuire a questa finestra. Qui dialogo e
approfondimenti troveranno terreno fertile.
Alla fine:


"La laicità, intesa come principio di distinzione tra stato e
religioni, oggi non è solo accettata dai cristiani, ma è
diventata un autentico contributo che essi sanno dare
all'attuale società, soprattutto in questa fase di costruzione
dell'Europa:
non c'è contraddizione tra fedeltà alla Chiesa e attaccamento
all'istanza di laicità".

Enzo Bianchi "La differenza cristiana" ed.Einaudi


"E' un obbligo eterno fra esseri umani non far soffrire la fame ad alcuno quando si ha la possibilità di dargli assistenza"

Simone Weil

"Salvaguardare i diritti degli altri è il fine più nobile e bello di un essere umano"

Kahlil Gibran