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domenica 5 giugno 2011

Testamento biologico o registro comunale?

di Nereo Tiso



Noto che le forzature nel considerare il tema del "registro comunale delle dichiarazioni anticipate" come una sorta di legge sul "testamento biologico" ormai stanno creando un bel po' di confusione. Soprattutto per chi vorrebbe arrivare ancora una volta a considerare la discussione uno scontro. Scontro che, guarda caso, si sviluppa su quel filo sottile che lega tra loro "cattolici e laici". I laici che lo vogliono e i cattolici che non vogliono. Come una sorta di rimpallo su un tema delicato come quello che si vorrebbe affrontare. Tra l'altro questo scontro tra cattoilici e laici mi sembra risibile e ormai destinato far tornate indietro le lancette dell'orologio di almeno un secolo. Credo non sia il caso. Ma andiamo per ordine.
Il registro comunale delle dichiarazioni anticipate di trattamento vuole far sì che il cittadino possa, liberamente, esprimere la propria opinione in un registro, appunto, presso il comune di residenza. La domanda che si pone è sempre la stessa e cioè il senso di tradurre per iscritto in un registro presso gli uffici comunali di una dichiarazione talvolta già perfezionata presso un notaio (questo da parte di una mozione presentata). Tutto ciò in assenza di una legge nazionale che riguardi il testamento biologico, o dichiarazioni anticipate di trattamento. Forse non è un doppione? Credo che la spinta di alcuni, anche del nostro gruppo consiliare sulla questione del registro, sia alquanto zoppa perché non trova riscontro in alcuna norma (se non in norme amministrative per la raccolta dei dati...) che abbia a che fare con ciò che si vorrebbe, invece, far passare: una dichiarazione sul Testamento Biologico. Credo che questo non sia scontro ideologico, ma buon senso amministrativo. Tra l'altro, qualora la persona si trovasse lontana dal Comune di residenza e non si conoscesse la persona di fiducia, chi comunicherebbe le volontà inscritte nel registro ai medici che avranno in cura il paziente? Naturalmente si vuole far credere che lo scontro sul registro sia su chi è contro il testamento biologico e chi no. Uno scontro alquanto banale e che non esiste.
Altra cosa è, appunto, il testamento biologico. La proposta di legge che, tra l'altro, ha grandi manchevolezze, avrebbe dovuto essere discussa recentemente in Parlamento. Purtroppo non è stato così. Spero non si pensi che questo problema in assenza di normativa si riduca ad essere lasciato in mano alla tifoseria: da una parte chi dice "si è necessario" e ostenta sicurezza citando dati, sentenze, normative e, purtroppo, esperienza di sofferenza; dall'altra chi dice "non è necessario " ostentando a sua volta sicurezza, in nome di qualsivoglia religione, o valori fondati su una fede,o proprio pensiero, o su altre persone sofferenti che hanno fatto scelte diverse dalle prime.
Mi dispiace ma io faccio fatica a far parte della tifoseria e non accetto che mi si dica che, a seconda di come la penso, debba essere collocato da una parte o dall'altra della barricata. Non posso ridurre tutto ad un "essere d'accordo" o a un "non essere d'accordo". La semplificazione di un problema tanto importante, per quanto mi riguarda, ostacola la discussione razionale, unica a portare contributi importanti e significativi. E su questo, spero, non ci siano dubbi. I contributi necessari non sono di parte, non nascono da uno scontro e non possono essere definiti "aperture" o "chiusure" a seconda della parte che li esprime. Io credo, però, che tutti, comunque, abbiano una propria storia e una prorpia esperienza con le quali poter affrontare al meglio un tema delicato come quello del testamento biologico. Non dobbiamo mai scordarlo. Passi avanti ne sono stati fatti e penso che sul tema bisognerà prendere in considerazione i contributi che le diverse forze politiche e scientifiche, oltre che ai diversi contributi normativi, etici, filosofici che in questi anni sono stati portati alla questione.
Restringere le maglie e affidarsi troppo alle ideologie non può che produrre resistenze e rotture. Ma credo anche che nessuna maggioranza possa violare alcun pensiero e alcuna proposta e nessuno potrà dire, in tono manicheo, di stare dalla parte del giusto e spingere eccessivamente sui tasti della "laicità personalizzata" per tentare di far venire allo scoperto i dissidenti.
Pertanto la discussione sul Testamento biologico dovrà essere approfondita attraverso una forte problematizzazione (in Germania la legge è stata emanata dopo dieci anni di riflessioni...) affidandosi a chi ne sappia trarre ogni significato, ogni problema nel rispetto di ogni persona.
A questo punto chiedo: c'è necessità di una ulteriore semplificazione di questo delicato argomento attarverso un atto amministrativo che non aggiungerebbe né toglierebbe alcun contributo all'iter normativo e al contenuto della proposta di legge stessa, ma sarebbe solo ed esclusivamente una sollecitazione fatta al Governo perché quest'ultimo arrivi rapidamente ad una legge? La risposta spero, arrivi dalla riflessione e dalla discussione e non dai giornali.
In conclusione, il Partito Democratico, e quindi anche il nostro gruppo consiliare, è tale perché ha in sé l'anima della democrazia e non dell'ideologia. Se non fosse così, non so cosa ci sarebbe di democratico.

domenica 22 marzo 2009

Vita e morte secondo il vangelo


di Enzo Bianchi
in "La Stampa" del 15 febbraio 2009

C´è un tempo per tacere e un tempo per parlare» ammoniva Qohelet, così come «c´è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per uccidere e un tempo per guarire...».
Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana - prima ancora che biblica - è parsa
dimenticata. Anche tra i pochi che parlavano per invocare il silenzio v´era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la pensavano diversamente da lui. Da parte mia confesso che, anche se il direttore di questo giornale mi ha invitato più volte a scrivere, ho preferito fare silenzio, anzi, soffrire in silenzio aspettando l´ora in cui fosse forse possibile - ma non è certo - dire una parola udibile.
Attorno all´agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all´umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»... - senza pensare a Gesù che quando gli hanno portato una donna gridando «adultera» ha fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: «Donna \ neppure io ti condanno: va´ e non peccare più»; non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla «ladro, assassino!» al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale?
Ma accanto a queste contraddizioni laceranti, come non soffrire per la strumentalizzazione politica dell´agonia di questa donna? Una politica che arriva in ritardo nello svolgere il ruolo che le è proprio - offrire un quadro legislativo adeguato e condiviso per tematiche così sensibili - e che brutalmente invade lo spazio più intimo e personale al solo fine del potere; una politica che si finge al servizio di un´etica superiore, l´etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di
cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile. L´abbiamo detto e scritto più volte: se
mai la fede cristiana venisse declinata come religione civile, non solo perderebbe la sua capacità
profetica, ma sarebbe ridotta a cappellania del potente di turno, diverrebbe sale senza più sapore
secondo le parole di Gesù, incapace di stare nel mondo facendo memoria del suo Signore.
È avvenuto quanto più volte avevo intravisto e temuto: lo scontro di civiltà preconizzato da
Huntington non si è consumato come scontro di religioni ma come scontro di etiche, con gli effetti
devastanti di una maggiore divisione e contrapposizione nella polis e, va detto, anche nella Chiesa.
Da questi «giorni cattivi» usciamo più divisi. Da un lato il fondamentalismo religioso che cresce,
dall´altro un nichilismo che rigetta ogni etica condivisa fanno sì che cessi l´ascolto reciproco e la
società sia sempre più segnata dalla barbarie.
Sì, ci sono state anche voci di compassione, ma nel clamore generale sono passate quasi
inascoltate.
L´Osservatore Romano ha coraggiosamente chiesto - tramite le parole del suo direttore, il tono e la frequenza degli interventi - di evitare strumentalizzazioni da ogni parte, di scongiurare lo scontro ideologico, di richiamare al rispetto della morte stessa. Ma molti mass media in realtà sono apparsi ostaggio di una battaglia frontale in cui nessuno dei contendenti si è risparmiato mezzi ingiustificabili dal fine. Eppure, di vita e di morte si trattava, realtà intimamente unite e pertanto non attribuibili in esclusiva a un campo o all´altro, a una cultura o a un´altra. La morte resta un enigma per tutti, diviene mistero per i credenti: un evento che non deve essere rimosso, ma che dà alla nostra vita il suo limite e fornisce le ragioni della responsabilità personale e sociale; un evento che tutti ci minaccia e tutti ci attende come esito finale della vita e, quindi, parte della vita stessa, un evento da viversi perciò soprattutto nell´amore: amore per chi resta e accettazione dell´amore che si riceve. Sì, questa è la sola verità che dovremmo cercare di vivere nella morte e accanto a chi muore, anche quando questo risulta difficile e faticoso. Infatti la morte non è sempre quella di un uomo o una donna che, sazi di giorni, si spengono quasi naturalmente come candela, circondati dagli affetti più cari. No, a volte è «agonia», lotta dolorosa, perfino abbrutente a causa della sofferenza fisica; oggi è sempre più spesso consegnata alla scienza medica, alla tecnica, alle strutture e ai macchinari...
Che dire a questo proposito? La vita è un dono e non una preda: nessuno si dà la vita da se stesso
népuò conquistarla con la forza. Nello spazio della fede i credenti, accanto alla speranza nella vita in Dio oltre la morte, hanno la consapevolezza che questo dono viene da Dio: ricevuta da lui, a lui varidata con un atto puntuale di obbedienza, cercando, a volte anche a fatica, di ringraziare Dio: «Ti ringrazio, mio Dio, di avermi creato...». Ma il credente sa che molti cristiani di fronte a
quell´incontro finale con Dio hanno deciso di pronunciare un «sì» che comportava la rinuncia ad
accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato. Quanti monaci, quante
donne e uomini santi, di fronte alla morte hanno chiesto di restare soli e di cibarsi solo
dell´eucarestia, quanti hanno recitato il Nunc dimittis, il «lascia andare, o Signore, il tuo servo»
come ultima preghiera nell´attesa dell´incontro con colui che hanno tanto cercato... In anni più
vicini a noi, pensiamo al patriarca Athenagoras I e a papa Giovanni Paolo II: due cristiani, due
vescovi, due capi di Chiese che hanno voluto e saputo spegnersi acconsentendo alla chiamata di
Dio, facendo della morte l´estremo atto di obbedienza nell´amore al loro Signore.
Testimonianze come queste sono il patrimonio prezioso che la Chiesa può offrire anche a chi non
crede, come segno grande di un anticipo della vittoria sull´ultimo nemico del genere umano, la
morte. Voci come queste avremmo voluto che accompagnassero il silenzio di rispetto e
compassione in questi giorni cattivi assordati da un vociare indegno. La Chiesa cattolica e tutte le
Chiese cristiane sono convinte di dover affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale, essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente.
Allora, da una millenaria tradizione di amore per la vita, di accettazione della morte e di fede nella risurrezione possono nascere parole in grado di rispondere agli inediti interrogativi che il progresso delle scienze e delle tecniche mediche pongono al limitare in cui vita e morte si incontrano. Così le riassumeva la lettera pontificale di Paolo VI indirizzata ai medici cattolici nel 1970: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un´inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l´ora ineluttabile e sacra dell´incontro dell´anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita».
Ecco, questo è il contributo che con rispetto e semplicità i cristiani possono offrire a quanti non
condividono la loro fede, affinché la società ritrovi un´etica condivisa e ciascuno possa vivere e
morire nell´amore e nella libertà.

Che fatica partecipare!

Dò il benevenuto a voi che vi sottoponente al
sacrificio di esserci, di contribuire a questa finestra. Qui dialogo e
approfondimenti troveranno terreno fertile.
Alla fine:


"La laicità, intesa come principio di distinzione tra stato e
religioni, oggi non è solo accettata dai cristiani, ma è
diventata un autentico contributo che essi sanno dare
all'attuale società, soprattutto in questa fase di costruzione
dell'Europa:
non c'è contraddizione tra fedeltà alla Chiesa e attaccamento
all'istanza di laicità".

Enzo Bianchi "La differenza cristiana" ed.Einaudi


"E' un obbligo eterno fra esseri umani non far soffrire la fame ad alcuno quando si ha la possibilità di dargli assistenza"

Simone Weil

"Salvaguardare i diritti degli altri è il fine più nobile e bello di un essere umano"

Kahlil Gibran