Nereo Tiso
Non so se leggo male, ma in questi giorni in cui si sta vivendo una delle più importanti crisi finanziarie della storia, si ricomincia a parlare di etica in economia; un rapporto visto finora da parte di molti come un ossimoro. A dare voce alla necessità dell’etica applicata all’economia quale strumento di riflessione troppo spesso nascosto in dotte discussioni accademiche, non sono i soliti estremisti e anticapitalisti, ma uomini dell’alta finanza, che cercano di analizzare situazioni difficili come questa preoccupati, almeno così dicono, ma non allarmati. Sottolineare il passaggio dal laissez faire tipico del mercato; passare dalla deregolamentazione ad una situazione maggiormente virtuosa, mostra come grandi economisti e banchieri, con un liberismo che segna il passo per aver chiuso gli occhi davanti all’evidenza di una finanza sempre più spinta all’eccesso, cerchino una soluzione che non sia solo un’apertura di credito senza condizioni verso il mercato, ma un tentativo di aprire nuovi spazi perché si possa discutere di economia e finanza in maniera diversa. Cosa c’entra l’etica? L’etica, come sappiamo, pone delle condizioni di rispetto delle regole, anzi, è regola essa stessa che, in economia, guida a scrutare l’orizzonte dell’esasperazione del profitto per ricondurre alla giusta coscienza gli operatori perché questi possano utilizzare strumenti economicamente efficaci ed eticamente possibili. Lasciare che il mercato si autoregoli immettendo in esso maggiore libertà come sosteneva von Hayek, fa crescere più la mediocrità dello stesso e dei suoi operatori. Infatti i recenti fallimenti dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’amore esagerato verso questo sistema di mercato in uno stato quasi contemplativo è prova di “infantilismo e debolezza culturale” (G.Amato, SOLE 24 ORE, 5 ottobre 2008). Aggiungere anche delle convinzioni morali alla legge/non legge del mercato, a questo punto, non si può più essere ridicolizzati come sosteneva Friedman, ma non può che essere visto come la costruzione di una maggiore solidità economica oltre che morale, appunto. Bisogna pertanto riconoscere che l’etica non crea delle difficoltà all’economia e non impedisce al mercato di essere se stesso, di crescere e svilupparsi, ma ne è un valore aggiunto nel panorama talvolta fosco delle transazioni economiche e della loro folle corsa verso una massimizzazione dei profitti anche quando questi è evidente, che non possono che essere delle entità virtuali e non virtuose. Non è solo la valutazione dei rischi nello spostamento di capitali, ma il riconoscimento che il rischio maggiore è quello di non preoccuparsi che i comportamenti esasperati possono indurre molti milioni di persone con pochi strumenti economici, culturali e sociali a trovarsi in situazioni di disperazione e vedere davanti a sé un oceano aperto da dover affrontare con scialuppe di salvataggio malmesse. Le colpe, com’è evidente, non sono e non possono essere del mercato in sé, ma di coloro che ne fanno uno strumento imprigionato in logiche perverse di inciviltà economica intonando il refrain delle palesi ed esclusive virtù delle transazioni economiche e finanziarie lasciate a se stesse. Tutto ciò all’interno di un sistema globalizzato il quale, senza dare giudizi di merito, è sempre più spinto a superare i suoi limiti e qualsiasi regola stabilita da qualsivoglia Stato. Se le norme vengono emanate dai parlamenti, la globalizzazione le supera, va oltre gli stati che sembrano impotenti di fronte alla sua irrefrenabile corsa e alle sue infinite possibilità e opportunità. Tutto qui? Certamente no! Infatti, in questo mercato di capitali virtuali globalizzati e in movimento, succedono catastrofi nelle quali, per poter evitare danni peggiori, interviene ancora una volta lo Stato di cui il mercato farebbe volentieri a meno ma, evidentemente in casi di gravi difficoltà, ne accetta di buon grado gli aiuti. Ingenti iniezioni di denaro, certamente non virtuali, sottratte alle risorse raccolte per essere ridistribuite tra tutti vengono assegnate per sanare drammatiche falle. A questo punto, se il ritorno all’etica dell’economia è diventato un nuovo segnavia, è da pensare che la stessa economia di mercato, lo stesso capitalismo, riconoscano il loro insuccesso nell’essersi allontanati dalla riflessione morale pensandola superflua, di ostacolo e, molto probabilmente, con poco senso. Con buona pace della “mano invisibile”. O forse si vuole speculare anche sull’etica? Ma qui c’è ben poco da guadagnare…
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