di Nereo Tiso
In questi giorni, in queste ore, si stanno infiammando le polemiche sulle celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia. La Lega e i leghisti si stanno smarcando con le solite affermazione di rito ormai datate, cercando di dare l'estrema unzione al tricolore volendolo sostituire con un improbabile "sole delle alpi". Ormai il 17 marzo si sta avvicinando a grandi falcate e, leghisti o no, l'Italia da nord a sud celebrerà l'evento con solennità. E questo mi sembra la cosa che più conti. Per il resto, i nostri padani si alzeranno dai loro scranni nei consigli per difendere delle ridicole rendite di posizione che, a parer loro, sembrano essere dei principi "non negoziabili". Credo che ogni commento sia superfluo di fronte a chi gode dei privilegi romani ed esalta il disfacimento dell'Italia di cui Roma, appunto, ne è il simbolo unitario: la capitale.
Ma ciò che mi preoccupa è ciò che verrà dopo il 17 marzo, dopo che si spegneranno le luci delle celebrazioni che, spero, tutti potranno vivere ripercorrendo quel tratto di storia che ci vede uniti dopo le tristi vicende che la patria ha subito. La possibile ed ulteriore divisione che si potrà creare in Italia nell'indifferenza di molti italiani ormai abituati alla volgarizzazione dello stesso concetto di federalismo com, invece, chiaramente inscritto nel titolo V° della Costituzione. Ad ognuno le proprie responsabilità, siano esse Regioni, Province o Comuni, ma ad ognuno la necessità di sentirsi partecipi ad uno Stato-nazione che non li penalizzi ma che possa, sussidiariamente, responsabilizzarli e far sì che, in maniera solidaristica, si occupi di chi sta peggio. E ciò, ancora, senza penalizzare ulteriormente chi è maggiormente virtuoso, chi, con maggiore oculatezza, fa gli interessi dei cittadini.
Ma l'incanto dello scambio tra governabilità dell'assise dell'imperatore e federalismo, è già terminato il giorno stesso del voto: il governo ha idee confuse anche su ciò che ha votato. Tra l'altro non ha onorato l'accordo con le regioni di dicembre su alcuni punti fondamentali (pensiamo ai finziamenti sul trasporto, oggi miseramente tagliato dalle regioni...) ; un federalismo quindi, nato già monco. Monco anche perché viene violato il famoso "patto con gli italiani" nel non mettere più tasse, dalla tassa di soggiorno e dall'IMU
Ma non è solo il federalismo votato in Parlamento a mostrare le sue pecche, ma il tentativo di mascherare una subdola separazione della nostra Paria. E' quasi la scia della continua e ostinata divisione che si sta creando tra i cittadini: tra cittadini del nord e del sud, tra dipendenti statali e non statali; tra studenti che frequentano scuole statali e sono sottoposti giornalmente al "vangelo" di insegnanti incapaci e faziosi e chi, al contrario, in una scuola privata può godere di insegnamenti non di parte; tra chi cerca un lavoro senza prospettive, chi lo perde e chi lo conserva stretto; divisioni ancora tra i sindacati; divisioni tra giovani e anziani; divisioni tra italiani doc e persone provenienti da altri paesi; tra cittadini di tradizione cristiana e cittadini di altra tradizione religiosa, e via dicendo.
Il tutto in uno scenario internazionale drammatico che vede il nostro mare riempirsi di uomini e di donne che sfuggono dalla guerra, dalla miseria e dalla dittatura. Solcano il mediterraneo su quella linea immaginaria che molti altri prima di loro hanno percorso cercando una vita migliore ma anche, forse, di sanare quella divisione che da secoli ci separa nonostante trattati economici con i dittatori di turno, frequenti viaggi alla scoperta della meravigliosa storia di questi paesi.
L'auspicio è che il nostro paese si rigeneri, prenda nuovo entusiasmo sentendosi unito attorno una bandiera,ad una Costituzione; costruisca un vero federalismo costituzionalmente fondato, che cominci così ha sostituire le costanti divisioni in dialogo cotruttivo in un sistema globalizzato che ci interroga ma che apre nuove opportunità per tutti. Forse è giunto il momento di rimanere uniti, ma allo stesso tempo di pensare che è giunto anche il tempo per tirarci fuori da un pantano nel quale stiamo affondando ridicolizzati e non capiti, non solo dalle istituzioni degli altri paesi ma anche dai loro cittadini comuni.