di Nereo Tiso
Il volumetto di Zamagni analizza storia, ragioni e perversioni del concetto di avarizia e del comportamento dell’avaro. “Desiderio smodato e disordinato di ogni cosa” diceva già Agostino. Ma è con i benedettini che hanno inizio le considerazioni sull’avarizia quale ostacolo all’evangelizzazione e così i cistercensi, che parlavano di come l’abuso dei beni era contrario alla carità. Ma è con i francescani che si ha la vera svolta. Inventano l’economia di mercato ritenendo che non solo l’ascetismo monastico sia la via per arrivare a Dio. Sarà necessario, però, guardarsi dal desiderio interiore del possesso. Nel medioevo, a partire appunto dai francescani e con l’avvento del feudalesimo, si batte moneta che si usa per le transazioni e in alcune città viene eliminata la schiavitù; in sostanza un nuovo codice di moralità. Ma nasce anche il mondo dei mercanti considerati usurai, avari, accumulatori di beni superflui e di denaro. Allo stesso tempo gli stessi mercanti, però, sono innovatori, creano relazioni. Ma l’interesse, anzi il prestare ad interesse risulta moralmente no è peggiore dell’ingordigia dell’avaro. Un percorso complesso e completo quello di Zamagni che viaggia nella storia per fondare le trasformazioni del concetto di avarizia nei suoi vari distinguo tra ricchezza, bramosia di accumulo di denaro e fragilità umana. Tutto fino ad arrivare a trasformare la filosofia economica che sfocia nell’individualismo dove l’avarizia viene dimensionata a “interesse personale”. Naturalmente l’avaro, prova vergogna per la sua condizione; vorrebbe vivere più a lungo per poter accumulare e si spinge oltre la filosofia individualista. Zamagni conclude che l’homo oeconomicus è il perfetto identikit dell’idiota sociale e, talvolta, i soldi dovrebbero essere sparati dagli imbecilli. Soprattutto quando, nei momenti di crisi dalla quale, per uscirne, ci si dovrebbe allontanare dall’avarizia per praticare la virtù.
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