lunedì 28 gennaio 2008

La religione civile

A parlare di religione civile si entra in un pensiero ambiguo, di relazioni costruito sulla razionalità di una tradizione religiosa che scarta aprioristicamente la fede e tutto ciò che essa comporta per il singolo individuo, per le comunità dei credenti. Si guarda soprattutto all’influenza storica che la religione ha avuto sul sistema sociale e si vuole arroccarsi dietro ad una barriera difensiva costruita nei secoli e, probabilmente, radicata nel pensiero popolare della conservazione delle tradizioni più che nella profondità della riflessione teologica e del magistero, ma soprattutto non tiene conto delle fondamenta scavate dalla Rivelazione.
Chi si appropria della religione civile, almeno in Italia, vorrebbe dimostrare che la Chiesa cattolica sarebbe pronta a supplire ad una mancanza di identità culturale comune, ad una deriva libertina, e ad opporsi in maniera decisa all’invasione di tradizioni e culture estranee a quella occidentale. Tutto ciò nonostante il tempo odierno mostri un conflitto tra politica e religione, frutto di una secolarizzazione che vede la religione in difficoltà per far passare il suo messaggio valoriale e salvifico e la politica che continua a perdere consensi in ragione della crescita di movimenti di pensiero mediatico che si oppongono al sistema attuale in una sorta di “antipolitica”.
Ma andiamo alle origini. Per alcuni autori il concetto di religione civile lo troviamo già in Ugo Grozio. Ma il termine “religione civile” nasce con J.J. Rousseau ne Il contratto sociale . Egli considera la religione divisa in religione dell’uomo e religione del cittadino. La prima è la religione del Vangelo, interiore, del Dio supremo che indica i doveri morali, del legame tra fratelli che non finisce nemmeno dopo la morte. L’altra è la religione che ha le sue regole, i suoi riti prescritti dalle leggi; “è una specie di teocrazia nella quale l’unico pontefice deve essere il principe e gli unici sacerdoti i magistrati. Quest’ultima può essere anche cattiva se da essa nascono tiranni sanguinari che arrivano a mettere gli uni contro gli altri..[1] A dir la verità,. Rousseau parla di una terza specie di religione, quella dei Lama che, secondo lui, impedisce di essere allo stesso tempo cittadini e devoti
Rousseau comunque vuole difendere i diritti dei popoli e del cittadino rielaborando la religione, quella del Vangelo, probabilmente in funzione del maggior valore della società politica, del suo primato sulla religione governata dalle leggi attraverso i suoi riti e i suoi doveri sociali. Con ciò, per Rousseau, non esiste una svalutazione della religione, una sua emarginazione, bensì il riconoscimento della stessa in qualità di forza per stabilire obblighi morali. I comportamenti dei cittadini, invece, devono essere regolamentai non da obblighi morali ma da leggi pena, il crollo della società.[2]
Queste origini, che probabilmente ci danno qualche informazione sulla genesi dell’idea di religione civile, possono farci capire come anche oggi le cose non siano chiare e il disagio culturale che si può creare attorno alle varie riflessioni di chiarificazione, è decisamente alto. Il movimento globale del quale bisogna prendere atto come irreversibile, sposta rapidamente e con sempre minori costi, uomini e con essi culture, tradizioni e fedi con le quali non si può fare a meno di confrontarsi pena il nascondersi dietro ad un muro, ormai, che manca di fondamenta. Dalla minaccia esterna si cerca di difendersi contrapponendo barriere costituite da tradizioni, valori nati dalla religione storica cercando di opporsi a un’ “invasione” ormai ineluttabile e ricercando nel cristianesimo un fattore di stabilità per tutti, anche per coloro che non si riconoscono nel cristianesimo stesso. Ascoltando chi crea allarmi e paure, sembra che anche il cristianesimo, a sua volta, sia minacciato tanto che si arriva a creare attorno ad esso una coesione civile, definendo una morale comune, l’unica , probabilmente, in grado di fronteggiare le pressioni esterne. Ed ecco quindi “…un progetto politico riguardante la presenza e il peso della chiesa nella società. La fede è così mondanizzata e la chiesa politicizzata..”[3]; il cristianesimo che diventa identità storico-culturale e la chiesa che si erge a baluardo per difenderla.
E’ un percorso che vede l’assenza, possiamo dire “ovviamente”, della fede per ribadire la laicità dello Stato il quale non può che essere pluralista, giusto osservatore della Costituzione nel rispetto del senso comune di appartenenza alle diverse religioni. Una convivenza tra credenti e non credenti che mal sopporta le ingerenze di coloro che possono fare un uso strumentale della religione usandone i suoi fondamenti e anche gli strumenti per scopi diversi da quelli propri. Se un’attenzione reciproca dovesse esserci tra la Chiesa e lo Stato non può che essere nel rispetto dei propri ambiti e nel riconoscimento della storia, delle tradizioni, dei valori dei quali la religione e la Chiesa sono portatrici e allo stesso tempo, nel rispetto delle norme della Costituzione, frutto straordinario di sintesi per provenienza culturale, politica, alla quale un contributo importante, nella sua costruzione, è stato dato dall’esperienza e dai valori portati da uomini di fede. Non è un limite da valicare né un eventuale effetto da strumentalizzare; le invasioni di campo opportunamente calcolate e anche non calcolate, farebbero scadere il dialogo in un confronto sterile e con fini preorganizzati. Invece, “la frontiera di quel che la religione può portare alla vita sociale nel nostro tempo è una frontiera da esplorare nel dialogo a due”[4] , una costruzione reciproca in un positivo percorso e in un non indifferente numero di ostacoli da superare, oltre che in un sistema sociale, di pensiero, di valori che si modificano forse troppo rapidamente. Legittimare una religione di tipo politico, o meglio, un cattolicesimo che esce dalla rivelazione per essere utilizzato a fini strumentali dai “fedeli atei” per armonizzare la gestione del governo morale della società in un’unica identità culturale, sarebbe insensato.
Ma la domanda è: si vuole una religione civile senza religione? La laicità dello stato impedisce costituzionalmente che ci possa essere una religione dominante, ma non impedisce che si possa pensare ad una ritualità di stato. Ed è questo in qualche modo che i fautori di una religione civile sostengono e vorrebbero: riti, altari, simboli, luoghi di culto laici ma valori che appartengono alla religione storica del paese. Si cerca una anacronistica generale identità su alcuni valori che stanno a fondamento della fede e della religione cristiana? O si vorrebbe, forse costruire, forzatamente una cultura comune dell’Occidente che storicamente trova un suo ricompattarsi attorno al cristianesimo? Troppe volte si vuole attingere alle fonti del cristianesimo estraniandosi dallo stesso senza degnarlo di uno sguardo nella sua vera essenza e sostanza.
A questo punto è opportuno citare l’azzardata ricostruzione della necessità di una religione civile data dal filosofo, senatore ed ex presidente del Senato italiano Marcello Pera in un famoso scambio di lettere con l’allora card. Joseph Ratzinger, ora papa Benedetto XVI: “La mia idea è che ciò che occorre è una religione civile, la quale sappia trasfondere i suoi valori in quella lunga catena che va dall’individuo alla famiglia ai gruppi alle associazioni alle comunità alla società civile, senza passare per i simboli dei partiti, i programmi dei governi, la forza degli Stati, e perciò senza toccare la separazione nella sfera temporale fra Stato e religione […] E’ perciò una religione cristiana non confessionale quella che suggerisco…”[5]. Il cristianesimo non confessionale e rivolto esclusivamente alla secolarizzazione sarebbe un ossimoro; il cristianesimo che propone la sua storia millenaria, i valori che gli sono propri che nascono dal Vangelo e dalla tradizione della Chiesa e che contribuisce alla riflessione sulle dinamiche che hanno come obiettivo la tutela della persona umana, è un cristianesimo dinamico, che non si sovrappone alla società nella sua pluralità; la vuole laica e in ascolto. La famiglia, i gruppi, la comunità civile ecc. sono acquisizioni ormai che rientrano nelle istituzioni e che, certamente, il cattolicesimo ha contribuito a migliorare e consolidare.
Ma la necessità di una religione cristiana non confessionale che si trasformi in religione civile mi sembra poco chiara e certamente non adeguata al sistema che governa il nostro paese e anche poco rappresentativa del cristianesimo e, tanto meno, di uno stato “laico” che ha il dovere di tutela dei cittadini. Esso trova il suo éthos nel confronto tra le varie istanze presenti sul territorio nonché le varie correnti di pensiero e le distinte fedi religiose che contribuiscono in maniera determinate alla costruzione di una società complessa e sempre in movimento. La barra a dritta sarà tenuta dalle leggi dello Stato, ma tutti, assieme al cristianesimo, dovranno contribuire al miglioramento della nave e offrire le migliori mappe di navigazione. E’ chiaro che ogni pensiero o fede sarà più o meno rappresentato nel modo di pensare e di vivere e nelle tradizioni di chi abita nel territorio senza per questo che nessuna fede, in questo caso, possa prestare il fianco a determinare l’unico modello etico, non per sua specifica volontà, ma attraverso un a priori culturale stabilito, tra l’altro, da un’entità non cristiana e al di fuori di qualsiasi percorso di fede. Dove sta il senso di tutto ciò? Esso si costituirebbe positivamente come testimonianza di chi, cristiano, ritiene di avere qualcosa da proporre di importante e fondamentale pensando sia utile a costruire un éthos condiviso e non unico. E’ la testimonianza, l’immagine di chi vive in maniera credibile i propri principi e le proprie convinzioni di cui parla il card. Ratzinger nella lettera di risposta a Marcello Pera: “…una religione civile che abbia la forza morale di sostenere tutti presuppone delle minoranze convinte che hanno trovato la «perla» e che vivono questo in modo convincente anche per gli altri. Senza tali forze sorgive non si costruisce niente”[6]
Il rischio che deriva dalle sovrapposizioni strumentali è di dequalificare e impadronirsi, a fini puramente utilitaristici, della fede cristiana da parte di coloro che nutrono un interesse tutto nuovo e poco chiaro per la stessa. Ma allo stesso tempo, l’ulteriore rischio, è di vedere la Chiesa impegnata in un campo non propriamente suo, con una sovraesposizione mediatica della Gerarchia nel tentativo di essere protagonista personalmente dopo l’implosione del partito politico di riferimento: la Democrazia Cristiana. [7] Ma un altro rischio è che la sovrapposizione porti all’esclusione di chi non si riconosce, non nella fede cristiana, ma nei valori che appartengono alla stessa fede cristiana perché appartenente ad altra fede o a nessuna fede. Certo però che la religione civile non può essere considerata nemmeno “un effetto collaterale, forse inevitabile, del cristianesimo vissuto dalla comunità dei credenti”[8] come scrive Umberto Paniccia, cioè un appropriarsi da parte del cristianesimo, in maniera del tutto casuale, del contesto culturale, sociale e politico con il quale esso si trova a convivere.
In sostanza, l’esasperazione del voler catalizzazione la società attorno alle tradizioni del cristianesimo e ai suoi valori, può forzare la separazione tra coloro che sostengono la laicità dello Stato senza ingerenze esterne di nessun genere, e chi sostiene la verità cristiana. L’esito di questa forzatura sarebbe un ulteriore frutto amaro: da una parte si potrebbe arrivare ad una forma di laicismo antagonista e dall’altra una probabile sovrapposizione del cristianesimo alla laicità dello Stato con le conseguenze negative che si possono ben immaginare. In sostanza, fede e politica non possono essere funzionali l’una all’altra, ma nella loro autonomia, poter crescere in una continua e reciproca collaborazione, senza ideologismi e senza strumentalizzazioni. La sfida, come dice Giannino Piana, è assai alta: “si tratta di dar vita a una figura di laicità che favorisca l’incontro fra tradizioni culturali e religiose diverse, avviando un dialogo coraggioso tra le varie componenti della società alla ricerca di valori alternativi all’ideologia dominante, che propongano cammini efficaci di promozione umana”.[9]
[1] J.J.Rousseau, Il contratto sociale, ed. Einaudi, Torino 1994, pp. 176-77.
[2] G.Silvestrini, Religione civile e repubblicanesimo, in…….., ed…….., ....., pp. 132-159
[3] E.Bianchi, cit., p. 26
[4] J.Habermas, in J.Habermas e J.Ratzinger, Ragione e fede in dialogo, ed. Marsilio, Venezia 2005, p. 20.
[5] M.Pera e J.Ratzinger, Senza radici.Europa,relativismo, cristianesimo, islam, ed. Mondadori, Milano 2004, p. 86.
[6] M.Pera e J.Ratzinger, cit., p. 110.
[7] G.Piana, Cristianesimo come «religione civile»?, in Aggiornamenti Sociali, n. 3, Milano 2006, pp. 228-230.
[8] U.Paniccia, Laici, cattolici e democrazia, in Il Mulino, n. 3, Bologna 2006, p. 596.
[9] G.Piana, cit., p. 232.

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Alla fine:


"La laicità, intesa come principio di distinzione tra stato e
religioni, oggi non è solo accettata dai cristiani, ma è
diventata un autentico contributo che essi sanno dare
all'attuale società, soprattutto in questa fase di costruzione
dell'Europa:
non c'è contraddizione tra fedeltà alla Chiesa e attaccamento
all'istanza di laicità".

Enzo Bianchi "La differenza cristiana" ed.Einaudi


"E' un obbligo eterno fra esseri umani non far soffrire la fame ad alcuno quando si ha la possibilità di dargli assistenza"

Simone Weil

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Kahlil Gibran