Democrazia: tra fondamenti e contraddizioni
di Nereo Tiso
Volendo precisare in maniera più chiara che cosa sia la democrazia, si può dire che, oltre ad essere il Governo del Popolo come tradizionalmente viene inteso, essa è il “governo attraverso la discussione”, cioè quel dialogo costante tra le istituzioni e i cittadini e tra chi governa e chi sta all’opposizione. E’ un dialogo costituito di mediazioni; solo il dialogo è in grado di arrivare a sintesi costruttive. Immaginiamo che tutto ciò vada ben oltre il solo risultato dell’urna elettorale: esso non può essere la legittimazione di un potere, bensì di una responsabilità. Evitando la discussione come principio necessario per deliberare leggi il più possibile adeguate alla realizzazione del bene comune e alla buona convivenza tra i cittadini, si scadrebbe nella difesa delle posizioni elettoralmente e democraticamente acquisite senza realizzare, però, una democrazia nel senso completo del termine.
A tal proposito, mi sembra opportuno citare Amartya Sen, premio nobel per l’economia nel 1998, che con chiarezza ci fa capire l’importanza della democrazia, il valore e le esigenze:
Che cos’è esattamente la democrazia? Innanzitutto occorre evitare l’identificazione fra democrazia e governo della maggioranza. La democrazia ha esigenze complesse, fra cui, naturalmente, lo svolgimento di elezioni e l’accettazione del loro risultato, ma richiedendo inoltre la protezione dei diritti e delle libertà, il rispetto della legalità, nonché la garanzia di libere discussioni e di una circolazione senza censura delle notizie.(…) La democrazia è un sistema che esige impegno costante, e non un semplice meccanismo (come il governo della maggioranza), indipendente e isolato da tutto il resto. (A.Sen, La democrazia degli altri, ed. Mondatori, 2004, pp. 61-62)
Aggiungendo ancora una ulteriore precisazione, che aiuta capire che la discussione, comunque, non può essere fine a se stessa, soprattutto per il cristiano, che fa parte della comunità politica ed ha delle responsabilità in essa. Scrive don Mario Toso: “La comunità politica non esiste solo perché gli uomini dialogano ed argomentano, ma perché la loro discussione o il loro contratto avvengono entro l’alveo di una comune ricerca del vero e del bene, la quale dipende dalla natura umana creata e redenta, che si attua in termini di libertà e responsabilità”. (M.Toso, La Società, n. 1/2005, p. 33)
La democrazia non è un assoluto, anzi. E’ qualcosa di estremamente relativo, in continua formazione e trasformazione non tanto nei fondamenti, quanto nel suo operare nei tempi, nei modi e nei luoghi più opportuni che via via le si presentano. In un certo senso deve gestire l’onere e l’onore di governare, di promuovere idee e ideali senza per questo che debbano diventare atti di fede. La democrazia è un esercizio faticoso e talvolta oscuro; mai derivante da un carisma perché il rischio è di cadere in un assolutismo. Ciò non toglie che il suo relativismo non sia una sorta di anarchia, bensì un incontro di valori che rispondono a una pluralità di opinioni e di esperienze. Il popolo ha il poter di decidere chi governa e chi sta all’opposizione e quindi ogni cittadino può, liberamente, sottolineo liberamente, esprimere la sua preferenza. Ha altresì il potere di cambiare la sua scelta con mezzi pacifici.
Certo, non possiamo solo tessere i giusti elogi alla democrazia, ma dobbiamo anche sottolineare che gli scenari che ci si presentano davanti sono nuovi e vanno affrontati in maniera determinata. E’ necessario, quindi, assicurasi il sistema democratico, ma rendere anche effettivamente operativa nella sua vera dimensione e grandezza: la democrazia. Non si può scadere in una paradossale e pericolosa Dittatura della democrazia imposta a livello globale, utilizzando metodi poco democratici di trasmissione, ma far sì che essa sia strumento di reciprocità, di dialogo, di mediazione, di sviluppo e di giustizia sociale. Spesso, infatti, si tessono trame istituzionali e politiche che, di fondo, tracciano dei profili lusinghieri e sicuramente significativi della democrazia perché questa sia “esportata” come valore universale. A margine però, purtroppo, si nascondono sorprese che si riflettono inesorabilmente sul vivere quotidiano offrendo il fianco a interessi economici che di democratico hanno ben poco.
Quindi non è l’idea di democrazia che va messa in discussione, bensì un modello che si mostra troppo subalterno agli interessi forti che dominano la scena e le discussioni sia a livello nazionale che internazionale. Possiamo dire che si è costruito nel recente passato una democrazia per pochi, per un’élite di persone che appiattiscono la politica al mercato. Il semplice cittadino passa in subordine, tanto che le difficoltà economiche e sociali che le famiglie stanno vivendo anche in Italia vengono relegate più o meno a notizie di cronaca. La politica, come dice ancora Mario Toso, non è una società d’affari.
Ma la democrazia per il cristiano…
La democrazia, per un cristiano, non è nulla di diverso da ciò che per un qualsiasi cittadino dovrebbe essere e cioè il governo del popolo e non o non più un anacronistico, governo di Dio o di qualche entità superiore non ben identificata.
L’autonomia dello stato di trovare le sue leggi che regolamentino i rapporti tra i cittadini nella costante ricerca del bene comune, si può riconoscere già nel detto evangelico “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. E’ un’affermazione importante in cui si proclama la distinzione tra la religione e la politica e l’autonomia della politica dalla religione. Pertanto si è ormai lontani dalla inglobante societas christiana di stampo medievale che aveva in sé una visione del mondo quale luogo di redenzione nel cammino verso la Gerusalemme.
Il momento decisivo in cui si parla ufficialmente di democrazia nella Chiesa cattolica è in uno straordinario e, probabilmente drammatico, radiodiscorso di papa Pio XII nel 1942: la democrazia è il principio migliore di convivenza civile. Il papa fa riferimento esplicito alle persone concrete, operai, soggetti deboli e alla tragedia che in Europa si stava vivendo in quel momento sostenendo, di fatto, il legame del cristianesimo e della Chiesa con una visione non totalitaria della società.
Il modello democratico nella Dottrina Sociale della Chiesa: la sua maturazione
E’ necessario, anche se si è già riferito della data dell’ufficialità del termine democrazia nel pensiero sociale della chiesa, accennare all’importanza che ebbe la promulgazione dell’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII del 1891, la prima di carattere sociale : non c’ è un riferimento esplicito al concetto di democrazia; si parla comunque di dialogo tra le parti e non di ostilità. Non si può tralasciare,comunque, la situazione politica e sociale italiana di allora (la politica protezionistica del governo Crispi, l’arretratezza dell’industria italiana causata soprattutto dalla crisi agraria e l’affidamento delle proprietà a grandi proprietari con le conseguenti tensioni sociali; ecc.);
A questa enciclica faranno seguto altri importanti documenti utili per capire, non solo il riconoscimento da parte della chiesa dell’importanza della democrazia, ma anche dell’impegno per poterla realizzare nel rispetto della persona. Ne cito solamente alcuni, non per sminuire l’importanza degli altri:
PACEM IN TERRIS (Giovanni XXIII) 1963:
- principio etico della persona come soggetto di diritti e doveri che scaturisce dalla sua natura (n. 5)
- i quattro valori etici della convivenza civile: libertà, dignità, giustizia, responsabilità (n. 18).
GAUDIUM ET SPES (Conc. Vat. II)
- interdipendenza della persona con la società; importanza dei vincoli sociali come la famiglia e comunità politica (n. 25)
- importanza della vita democratica e del libero voto (Costituzione del 1948) da utilizzare per la promozione del bene comune (76);
- E ancora al n. 76 si afferma come “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”
- e al n. 75 “I cristiani…devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini, che, anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista”
- interessante il concetto di BENE COMUNE: “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione (dignità)… investendo diritti e doveri che riguardano l’intero genere umano” (n. 26);
- la sua realizzazione: è la comunità politica nella quale ci sono uomini diversi che possono indirizzarsi verso decisioni diverse, che deve realizzare il bene comune; essa esiste solo in funzione del bene comune (n. 75);
CENTESIMUS ANNUS 1991 (Giovanni Paolo II):
Ultima enciclica di fondamentale importanza per i problemi sociali dell’umanità; si rivolge a chi è operatore economico, proprietario, dipendente, ecc.; ancora una volta si parla in maniera chiara di primato della persona sulle cose, dell’importanza del bene comune e della vita politica partecipativa
- è necessario passare dal primato dei beni al primato della persona (34)
- viene fatto un esplicito apprezzamento alla democrazia perché permette la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche: può scegliere i governanti e sostituirli; l’autentica democrazia può esistere solo in uno stato di diritto (46)
- con la democrazia si ha anche un vivo interesse per i diritti umani, per la loro tutela. Non sempre rispettati, purtroppo, negli stessi paesi democratici.
- L’uomo precede la democrazia e non può essere sottoposto al gioco di maggioranza (47).
COMPENDIO Dottrina Sociale della Chiesa (n. 407)
- Un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedura democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del “bene comune” come fine e criterio regolativi della vita politica.
-
Quali responsabilità per il cristiano
Il cristiano non può non riconoscersi nel sistema democratico ma, allo stesso tempo, non può non denunciare i soprusi che in esso possono avvenire a causa di un deficit di democrazia soprattutto di fronte a strumentalizzazioni di nuovi poteri. Telecrazia quale concentrazione imponente dei poteri comunicativi per sviluppare un’azione politica; populismo quale imbonimento dei cittadini attraverso dei sistemi subdoli; potere finanziario che, attraverso la speculazione economica riesce ad imporsi ai governi; plutocrazia quale potere politico in mano ai pochi possessori di immani ricchezze, si propongono come nuovi poteri democratici o pseudo democratici, in grado di catalizzare i cittadini, il loro modo di esprimersi, di pensare e di vivere.
Il cristiano ha l’obbligo di non estraniarsi dalla responsabilità che ha in qualità di cittadino che fruisce dei benefici del sistema democratico. Per questo non può rimanere avulso dall’impegno che, all’interno delle istituzioni politiche, sociali e familiari, gli viene richiesto. Ha l’obbligo di rimanere vigile e critico anche di fronte al sondaggismo che non è altro che una debolezza della stessa democrazia.
La democrazia, pertanto, va oltre un sistema di procedure pur necessarie, ma ha l’obbligo di cogliere, di sostenere e realizzare le condizioni migliori perché si garantiscano la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del bene comune come fine e criterio regolativi della vita politica (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 407).
La responsabilità quindi, è un modo di rispondere adeguatamente da parte del cristiano alle sollecitazioni che vengono dalla situazione attuale della democrazia. Essa non può che radicarsi nell’inviolabile libertà della persona; nella capacità del cristiano di far crescere gli uomini in quanto persone umane. La responsabilità non può che essere responsabilità verso l’altro, verso colui che direttamente o indirettamente mi è stato affidato.
Il cristiano non può trovarsi imbarazzato di fronte ai fenomeni di disuguaglianza, di ingiustizia sociale ed economica. Egli è capace di andare oltre l’interesse personale riconoscendo nell’altro, colui che può, nella sua responsabilità personale, essere a sua volta costruttore di nuove vie per una democrazia rinnovata.
Il cristiano è chiamato, comunque, a considerare il contesto nel quale è inserito e a discernere quali sono le situazioni positive o negative per cercare un cambiamento impegnandosi nella trasformazione della realtà attraverso scelte adeguate e senza pregiudizio alcuno.
Allontanare gli utilitarismi estremi, impegnarsi nell’associazionismo e in politica alla realizzazione del bene comune, lavorare per dare un alto significato alla giustizia in tutte le sue dimensioni, essere operatori di pace, collaborare in maniera costruttiva per eliminare o, quantomeno attenuare i condizionamenti che vorrebbero una riduzione della responsabilità personale, sono i compiti del cristiano per costruire una società nuova e più giusta. In sostanza, di fronte alle corruttele, alla democrazia imposta, alla violenza e alla guerra, il cristiano non può abdicare o tacere, ma ha il dovere di sollecitare chi ha la responsabilità di decidere per la collettività perché operi in modo adeguato al rispetto della dignità della persona e dei popoli. Senza nessuna distinzione.
In opposizione ad una democrazia pilotata da chi gode di potere sociale e raccoglie attorno a sé il consenso che si concretizza in una delega in bianco, il cristiano, forte dei suoi valori quali la solidarietà, la giustizia, il rispetto per la persona, deve sollecitare lo spirito di discernimento responsabile. La democrazia ha bisogno di donne e di uomini maturi, che affrontino in maniera critica i problemi e non si lascino intimorire dalle orde dei benpensanti che un giorno sono anticlericali, un altro filo-papali, un altro atei-devoti e quello appresso cristiani a difesa delle proprie radici di tradizione ma non di fede. I cristiani non possono vivere dell’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto, come recita una famosa canzone, ma cercare la verità nel lavorio quotidiano per la realizzazione del bene comune. Devono essere un segno di contraddizione.
Bisogna passare dalla responsabilità alla corresponsabilità per operare in spirito di servizio nella ricerca della verità. Una verità che non va imposta bensì proposta e che sia al servizio del cittadino. Essa va continuamente ricercata, non svenduta né tanto meno barattata con scelte fatte dalla classe dirigente in nome di un fantomatico interesse comune. Una democrazia vera, pertanto, non può avere verità a priori né a posteriori: è da costruire sempre in relazione evitando situazioni di imposizioni dogmatiche che di democratico avrebbero ben poco. Essa non può abbandonare lo sforzo di operare per in bene comune in un contesto di giustizia e di solidarietà, elementi prioritari per il cristiano, dai quali si possono trarre ampi e significativi elementi di responsabilità.
Se la democrazia non si pre-occupa di fondare eticamente il suo esistere e le scelte di coloro ai quali è stata affidata, tende e non riconoscere il valore stesso dell’etica e a ritenere che gli interessi personali o di gruppo possano sovrapporsi o anteporsi al riconoscimento della sfida di una società solidale. Certamente non si pensa a fondare uno stato etico, assolutamente fuori tempo e ormai senza senso. Il laico cristiano, però, deve accettare la sfida dell’etica perché è la sfida di una società per la quale la persona viene posta al centro e la politica può essere il sale della democrazia e lo strumento privilegiato per garantire, non gli interessi dei singoli, ma il bene comune.
Qui non si tratta di una democrazia alla moda, ma nemmeno a la carte. Non è un qualcosa che rincorre necessariamente le esigenze delle masse, ma nemmeno il sistema che si riduce a costruire senza lungimiranza, raffazzonando espressioni e scelte alla giornata tirando a campare. La responsabilità dei cristiani prevede che essi prendano coscienza delle sfide democratiche ed etiche che li aspettano. Non sono poca cosa, ma come cittadini del mondo proiettati oltre il mondo come scriveva la lettera a Diogneto, hanno l’obbligo di accettarle. Esse hanno di fronte i valori evangelici che sono, come tali, valori pienamente umani, piedistalli sicuri sui quali poggiare. Infatti, scrive Giovanni Paolo II, in maniera molto forte che:
…una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia". (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 101).
E quindi, Benedetto XVI, afferma al n. 29 della sua enciclica “Deus Caritas est”:
Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità
Questi valori dovrebbero essere espressi anche al momento della scelta politica in cui va a decidere lo schieramento di governo locale o nazionale. La scelta non dovrebbe essere fatta solo riconoscendo nel programma della coalizione l’opportunità che questa soddisfi i miei interessi, ma che abbia come predominante la creazione delle condizioni per la realizzazione del bene comune a partire dalla tutela di chi è più debole e rischia inesorabilmente di rimanere ai margini. Pace, giustizia, solidarietà, giusta distribuzione della ricchezza, famiglia, ambiente, tutela della vita nei suoi momenti cruciali, sono valori dai quali, come cristiani, non si può prescindere. Tutti devono essere posti sullo stesso piano perché tutti riguardano la persona umana.
Il cristiano di fronte a democrazia ed economia
Democrazia ed economia è un tema caro alla Dottrina Sociale della Chiesa sul quale più volte si è espressa cercando di offrire degli strumenti di approfondimento attraverso una lettura soprattutto valoriale toccando i vari elementi che lo compongono: mercato, impresa, profitto, bilanci, lavoro, diritti, uguaglianza, equità, ecc. .
Come sappiamo, in questo modello economico il profitto è l’obiettivo trainante anche se non dovrebbe avere l’esclusiva vista la complessità del sistema stesso. Il problema sorge nel momento in cui si parla di eguaglianza delle possibilità e delle opportunità da offrire a coloro che sono ai margini del sistema, che non hanno la possibilità di salire sul treno della concorrenza; che non possono godere di quegli strumenti fondamentali per far sì che se stesso e il proprio paese possa svilupparsi. Certo, l’economia deve obbligatoriamente creare ricchezza ma, in termini non soltanto quantitativi, ma anche qualitativi: tutto ciò è moralmente corretto se finalizzato allo sviluppo globale e solidale dell’uomo e della società in cui vive e opera (Compendio DSC n. 334).
E’ necessario fare delle scelte concrete per vivere in maniera democratica l’economia sia riconoscendo il valore dell’uomo all’interno del sistema sia facendo sì che la solidarietà non diventi una sovrastruttura del sistema. Anche noi, che dedichiamo tempo, riflessioni e spesso preghiere per le vite mai nate o per coloro che indegnamente vengono aiutati o lasciati morire, abbiamo l’obbligo di occuparci anche del sistema economico perché, purtroppo, anche vivere e morire viene ridotto ad un mero costo per la collettività. Quindi occuparci di economia e di ciò che ha a che fare con essa vuol dire occuparsi della persona nella sua interezza. Non possiamo solo leggere giornali finanziari e chiarirci le idee se i nostri titoli ci hanno fatto guadagnare o, com’è successo non molto tempo fa, ci hanno messo sul lastrico.
Parlare di solidarietà per il cristiano rientra praticamente nella sua natura. Il problema è viverla la solidarietà in una complessità di sistema che calcola la solidarietà sulla base dei versamenti personali all’una o all’altra associazione. Essere più ricchi significa essere più solidali? Essere solidali è essere coscienti della propria responsabilità nei confronti degli altri, operare per la tutela dei diritti delle persone soprattutto di quelle più ai margini. Di fatto dobbiamo capire che affidare al mercato la produzione di ogni bene è praticamente utopistico. Forse quelli che vengono chiamati “beni relazionali” possono essere prodotti dal mercato? Ci sono beni, pertanto, che non sono catalogabili semplicemente come merce.
Il rischio è di arrampicarsi sulla china dell’avere. Una gestione migliore dell’economia come riduzione del superfluo e onorare quanto dovuto al fisco semplicemente rispettando la Costituzione, potrebbero essere viatici per riscoprire il senso di una solidarietà costruttiva, sistematica e non fatta dell’offerta in un momento di forte emozione. Il sistema democratico aiuta tutto ciò, ma non è sufficiente perché, come scrive il papa, bisogna adoperarsi per costruire stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti (Giovanni Paolo II, Centesimus annus,n. 36).
A ciò si può aggiungere il fenomeno della globalizzazione, ormai inarrestabile. E’ un fatto con il quale convivere cercando di ottenere la possibilità di un governo della stessa. Essa è stata ed è una grande opportunità per pochi e una insidia per molti. La globalizzazione è oltre lo stato, travalica le sue leggi perché si posa in ogni dove spinta esclusivamente dalla smania di trovare sempre un miglior offerente o un costo del lavoro inferiore. Chi è rimasto fuori dal meccanismo molto probabilmente non ha scampo. Forse di fronte a tutto ciò si può tacere? Certo la polemica di basso profilo non può avere nessun successo, ma la proposta che l’estensione della globalizzazione debba essere accompagnata da una più matura presa di coscienza, da parte delle organizzazione della società civile, dei nuovi compiti ai quali sono chiamate a livello mondiale (Compendio DSC, n. 366), può aiutare a creare quel ponte che aiuti la solidarietà tra i popoli e tra le generazioni.
Democratizzare l’economia è un’operazione complessa di fronte a continui cambiamenti di scenario sia a livello locale, nazionale che internazionale. Va affrontata a partire da un’altra operazione che vede l’umanità ancora divisa e, possiamo dire, anche i cristiani: essere operatori di pace.
Volendo precisare in maniera più chiara che cosa sia la democrazia, si può dire che, oltre ad essere il Governo del Popolo come tradizionalmente viene inteso, essa è il “governo attraverso la discussione”, cioè quel dialogo costante tra le istituzioni e i cittadini e tra chi governa e chi sta all’opposizione. E’ un dialogo costituito di mediazioni; solo il dialogo è in grado di arrivare a sintesi costruttive. Immaginiamo che tutto ciò vada ben oltre il solo risultato dell’urna elettorale: esso non può essere la legittimazione di un potere, bensì di una responsabilità. Evitando la discussione come principio necessario per deliberare leggi il più possibile adeguate alla realizzazione del bene comune e alla buona convivenza tra i cittadini, si scadrebbe nella difesa delle posizioni elettoralmente e democraticamente acquisite senza realizzare, però, una democrazia nel senso completo del termine.
A tal proposito, mi sembra opportuno citare Amartya Sen, premio nobel per l’economia nel 1998, che con chiarezza ci fa capire l’importanza della democrazia, il valore e le esigenze:
Che cos’è esattamente la democrazia? Innanzitutto occorre evitare l’identificazione fra democrazia e governo della maggioranza. La democrazia ha esigenze complesse, fra cui, naturalmente, lo svolgimento di elezioni e l’accettazione del loro risultato, ma richiedendo inoltre la protezione dei diritti e delle libertà, il rispetto della legalità, nonché la garanzia di libere discussioni e di una circolazione senza censura delle notizie.(…) La democrazia è un sistema che esige impegno costante, e non un semplice meccanismo (come il governo della maggioranza), indipendente e isolato da tutto il resto. (A.Sen, La democrazia degli altri, ed. Mondatori, 2004, pp. 61-62)
Aggiungendo ancora una ulteriore precisazione, che aiuta capire che la discussione, comunque, non può essere fine a se stessa, soprattutto per il cristiano, che fa parte della comunità politica ed ha delle responsabilità in essa. Scrive don Mario Toso: “La comunità politica non esiste solo perché gli uomini dialogano ed argomentano, ma perché la loro discussione o il loro contratto avvengono entro l’alveo di una comune ricerca del vero e del bene, la quale dipende dalla natura umana creata e redenta, che si attua in termini di libertà e responsabilità”. (M.Toso, La Società, n. 1/2005, p. 33)
La democrazia non è un assoluto, anzi. E’ qualcosa di estremamente relativo, in continua formazione e trasformazione non tanto nei fondamenti, quanto nel suo operare nei tempi, nei modi e nei luoghi più opportuni che via via le si presentano. In un certo senso deve gestire l’onere e l’onore di governare, di promuovere idee e ideali senza per questo che debbano diventare atti di fede. La democrazia è un esercizio faticoso e talvolta oscuro; mai derivante da un carisma perché il rischio è di cadere in un assolutismo. Ciò non toglie che il suo relativismo non sia una sorta di anarchia, bensì un incontro di valori che rispondono a una pluralità di opinioni e di esperienze. Il popolo ha il poter di decidere chi governa e chi sta all’opposizione e quindi ogni cittadino può, liberamente, sottolineo liberamente, esprimere la sua preferenza. Ha altresì il potere di cambiare la sua scelta con mezzi pacifici.
Certo, non possiamo solo tessere i giusti elogi alla democrazia, ma dobbiamo anche sottolineare che gli scenari che ci si presentano davanti sono nuovi e vanno affrontati in maniera determinata. E’ necessario, quindi, assicurasi il sistema democratico, ma rendere anche effettivamente operativa nella sua vera dimensione e grandezza: la democrazia. Non si può scadere in una paradossale e pericolosa Dittatura della democrazia imposta a livello globale, utilizzando metodi poco democratici di trasmissione, ma far sì che essa sia strumento di reciprocità, di dialogo, di mediazione, di sviluppo e di giustizia sociale. Spesso, infatti, si tessono trame istituzionali e politiche che, di fondo, tracciano dei profili lusinghieri e sicuramente significativi della democrazia perché questa sia “esportata” come valore universale. A margine però, purtroppo, si nascondono sorprese che si riflettono inesorabilmente sul vivere quotidiano offrendo il fianco a interessi economici che di democratico hanno ben poco.
Quindi non è l’idea di democrazia che va messa in discussione, bensì un modello che si mostra troppo subalterno agli interessi forti che dominano la scena e le discussioni sia a livello nazionale che internazionale. Possiamo dire che si è costruito nel recente passato una democrazia per pochi, per un’élite di persone che appiattiscono la politica al mercato. Il semplice cittadino passa in subordine, tanto che le difficoltà economiche e sociali che le famiglie stanno vivendo anche in Italia vengono relegate più o meno a notizie di cronaca. La politica, come dice ancora Mario Toso, non è una società d’affari.
Ma la democrazia per il cristiano…
La democrazia, per un cristiano, non è nulla di diverso da ciò che per un qualsiasi cittadino dovrebbe essere e cioè il governo del popolo e non o non più un anacronistico, governo di Dio o di qualche entità superiore non ben identificata.
L’autonomia dello stato di trovare le sue leggi che regolamentino i rapporti tra i cittadini nella costante ricerca del bene comune, si può riconoscere già nel detto evangelico “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. E’ un’affermazione importante in cui si proclama la distinzione tra la religione e la politica e l’autonomia della politica dalla religione. Pertanto si è ormai lontani dalla inglobante societas christiana di stampo medievale che aveva in sé una visione del mondo quale luogo di redenzione nel cammino verso la Gerusalemme.
Il momento decisivo in cui si parla ufficialmente di democrazia nella Chiesa cattolica è in uno straordinario e, probabilmente drammatico, radiodiscorso di papa Pio XII nel 1942: la democrazia è il principio migliore di convivenza civile. Il papa fa riferimento esplicito alle persone concrete, operai, soggetti deboli e alla tragedia che in Europa si stava vivendo in quel momento sostenendo, di fatto, il legame del cristianesimo e della Chiesa con una visione non totalitaria della società.
Il modello democratico nella Dottrina Sociale della Chiesa: la sua maturazione
E’ necessario, anche se si è già riferito della data dell’ufficialità del termine democrazia nel pensiero sociale della chiesa, accennare all’importanza che ebbe la promulgazione dell’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII del 1891, la prima di carattere sociale : non c’ è un riferimento esplicito al concetto di democrazia; si parla comunque di dialogo tra le parti e non di ostilità. Non si può tralasciare,comunque, la situazione politica e sociale italiana di allora (la politica protezionistica del governo Crispi, l’arretratezza dell’industria italiana causata soprattutto dalla crisi agraria e l’affidamento delle proprietà a grandi proprietari con le conseguenti tensioni sociali; ecc.);
A questa enciclica faranno seguto altri importanti documenti utili per capire, non solo il riconoscimento da parte della chiesa dell’importanza della democrazia, ma anche dell’impegno per poterla realizzare nel rispetto della persona. Ne cito solamente alcuni, non per sminuire l’importanza degli altri:
PACEM IN TERRIS (Giovanni XXIII) 1963:
- principio etico della persona come soggetto di diritti e doveri che scaturisce dalla sua natura (n. 5)
- i quattro valori etici della convivenza civile: libertà, dignità, giustizia, responsabilità (n. 18).
GAUDIUM ET SPES (Conc. Vat. II)
- interdipendenza della persona con la società; importanza dei vincoli sociali come la famiglia e comunità politica (n. 25)
- importanza della vita democratica e del libero voto (Costituzione del 1948) da utilizzare per la promozione del bene comune (76);
- E ancora al n. 76 si afferma come “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”
- e al n. 75 “I cristiani…devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini, che, anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista”
- interessante il concetto di BENE COMUNE: “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione (dignità)… investendo diritti e doveri che riguardano l’intero genere umano” (n. 26);
- la sua realizzazione: è la comunità politica nella quale ci sono uomini diversi che possono indirizzarsi verso decisioni diverse, che deve realizzare il bene comune; essa esiste solo in funzione del bene comune (n. 75);
CENTESIMUS ANNUS 1991 (Giovanni Paolo II):
Ultima enciclica di fondamentale importanza per i problemi sociali dell’umanità; si rivolge a chi è operatore economico, proprietario, dipendente, ecc.; ancora una volta si parla in maniera chiara di primato della persona sulle cose, dell’importanza del bene comune e della vita politica partecipativa
- è necessario passare dal primato dei beni al primato della persona (34)
- viene fatto un esplicito apprezzamento alla democrazia perché permette la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche: può scegliere i governanti e sostituirli; l’autentica democrazia può esistere solo in uno stato di diritto (46)
- con la democrazia si ha anche un vivo interesse per i diritti umani, per la loro tutela. Non sempre rispettati, purtroppo, negli stessi paesi democratici.
- L’uomo precede la democrazia e non può essere sottoposto al gioco di maggioranza (47).
COMPENDIO Dottrina Sociale della Chiesa (n. 407)
- Un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedura democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del “bene comune” come fine e criterio regolativi della vita politica.
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Quali responsabilità per il cristiano
Il cristiano non può non riconoscersi nel sistema democratico ma, allo stesso tempo, non può non denunciare i soprusi che in esso possono avvenire a causa di un deficit di democrazia soprattutto di fronte a strumentalizzazioni di nuovi poteri. Telecrazia quale concentrazione imponente dei poteri comunicativi per sviluppare un’azione politica; populismo quale imbonimento dei cittadini attraverso dei sistemi subdoli; potere finanziario che, attraverso la speculazione economica riesce ad imporsi ai governi; plutocrazia quale potere politico in mano ai pochi possessori di immani ricchezze, si propongono come nuovi poteri democratici o pseudo democratici, in grado di catalizzare i cittadini, il loro modo di esprimersi, di pensare e di vivere.
Il cristiano ha l’obbligo di non estraniarsi dalla responsabilità che ha in qualità di cittadino che fruisce dei benefici del sistema democratico. Per questo non può rimanere avulso dall’impegno che, all’interno delle istituzioni politiche, sociali e familiari, gli viene richiesto. Ha l’obbligo di rimanere vigile e critico anche di fronte al sondaggismo che non è altro che una debolezza della stessa democrazia.
La democrazia, pertanto, va oltre un sistema di procedure pur necessarie, ma ha l’obbligo di cogliere, di sostenere e realizzare le condizioni migliori perché si garantiscano la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del bene comune come fine e criterio regolativi della vita politica (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 407).
La responsabilità quindi, è un modo di rispondere adeguatamente da parte del cristiano alle sollecitazioni che vengono dalla situazione attuale della democrazia. Essa non può che radicarsi nell’inviolabile libertà della persona; nella capacità del cristiano di far crescere gli uomini in quanto persone umane. La responsabilità non può che essere responsabilità verso l’altro, verso colui che direttamente o indirettamente mi è stato affidato.
Il cristiano non può trovarsi imbarazzato di fronte ai fenomeni di disuguaglianza, di ingiustizia sociale ed economica. Egli è capace di andare oltre l’interesse personale riconoscendo nell’altro, colui che può, nella sua responsabilità personale, essere a sua volta costruttore di nuove vie per una democrazia rinnovata.
Il cristiano è chiamato, comunque, a considerare il contesto nel quale è inserito e a discernere quali sono le situazioni positive o negative per cercare un cambiamento impegnandosi nella trasformazione della realtà attraverso scelte adeguate e senza pregiudizio alcuno.
Allontanare gli utilitarismi estremi, impegnarsi nell’associazionismo e in politica alla realizzazione del bene comune, lavorare per dare un alto significato alla giustizia in tutte le sue dimensioni, essere operatori di pace, collaborare in maniera costruttiva per eliminare o, quantomeno attenuare i condizionamenti che vorrebbero una riduzione della responsabilità personale, sono i compiti del cristiano per costruire una società nuova e più giusta. In sostanza, di fronte alle corruttele, alla democrazia imposta, alla violenza e alla guerra, il cristiano non può abdicare o tacere, ma ha il dovere di sollecitare chi ha la responsabilità di decidere per la collettività perché operi in modo adeguato al rispetto della dignità della persona e dei popoli. Senza nessuna distinzione.
In opposizione ad una democrazia pilotata da chi gode di potere sociale e raccoglie attorno a sé il consenso che si concretizza in una delega in bianco, il cristiano, forte dei suoi valori quali la solidarietà, la giustizia, il rispetto per la persona, deve sollecitare lo spirito di discernimento responsabile. La democrazia ha bisogno di donne e di uomini maturi, che affrontino in maniera critica i problemi e non si lascino intimorire dalle orde dei benpensanti che un giorno sono anticlericali, un altro filo-papali, un altro atei-devoti e quello appresso cristiani a difesa delle proprie radici di tradizione ma non di fede. I cristiani non possono vivere dell’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto, come recita una famosa canzone, ma cercare la verità nel lavorio quotidiano per la realizzazione del bene comune. Devono essere un segno di contraddizione.
Bisogna passare dalla responsabilità alla corresponsabilità per operare in spirito di servizio nella ricerca della verità. Una verità che non va imposta bensì proposta e che sia al servizio del cittadino. Essa va continuamente ricercata, non svenduta né tanto meno barattata con scelte fatte dalla classe dirigente in nome di un fantomatico interesse comune. Una democrazia vera, pertanto, non può avere verità a priori né a posteriori: è da costruire sempre in relazione evitando situazioni di imposizioni dogmatiche che di democratico avrebbero ben poco. Essa non può abbandonare lo sforzo di operare per in bene comune in un contesto di giustizia e di solidarietà, elementi prioritari per il cristiano, dai quali si possono trarre ampi e significativi elementi di responsabilità.
Se la democrazia non si pre-occupa di fondare eticamente il suo esistere e le scelte di coloro ai quali è stata affidata, tende e non riconoscere il valore stesso dell’etica e a ritenere che gli interessi personali o di gruppo possano sovrapporsi o anteporsi al riconoscimento della sfida di una società solidale. Certamente non si pensa a fondare uno stato etico, assolutamente fuori tempo e ormai senza senso. Il laico cristiano, però, deve accettare la sfida dell’etica perché è la sfida di una società per la quale la persona viene posta al centro e la politica può essere il sale della democrazia e lo strumento privilegiato per garantire, non gli interessi dei singoli, ma il bene comune.
Qui non si tratta di una democrazia alla moda, ma nemmeno a la carte. Non è un qualcosa che rincorre necessariamente le esigenze delle masse, ma nemmeno il sistema che si riduce a costruire senza lungimiranza, raffazzonando espressioni e scelte alla giornata tirando a campare. La responsabilità dei cristiani prevede che essi prendano coscienza delle sfide democratiche ed etiche che li aspettano. Non sono poca cosa, ma come cittadini del mondo proiettati oltre il mondo come scriveva la lettera a Diogneto, hanno l’obbligo di accettarle. Esse hanno di fronte i valori evangelici che sono, come tali, valori pienamente umani, piedistalli sicuri sui quali poggiare. Infatti, scrive Giovanni Paolo II, in maniera molto forte che:
…una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia". (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 101).
E quindi, Benedetto XVI, afferma al n. 29 della sua enciclica “Deus Caritas est”:
Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità
Questi valori dovrebbero essere espressi anche al momento della scelta politica in cui va a decidere lo schieramento di governo locale o nazionale. La scelta non dovrebbe essere fatta solo riconoscendo nel programma della coalizione l’opportunità che questa soddisfi i miei interessi, ma che abbia come predominante la creazione delle condizioni per la realizzazione del bene comune a partire dalla tutela di chi è più debole e rischia inesorabilmente di rimanere ai margini. Pace, giustizia, solidarietà, giusta distribuzione della ricchezza, famiglia, ambiente, tutela della vita nei suoi momenti cruciali, sono valori dai quali, come cristiani, non si può prescindere. Tutti devono essere posti sullo stesso piano perché tutti riguardano la persona umana.
Il cristiano di fronte a democrazia ed economia
Democrazia ed economia è un tema caro alla Dottrina Sociale della Chiesa sul quale più volte si è espressa cercando di offrire degli strumenti di approfondimento attraverso una lettura soprattutto valoriale toccando i vari elementi che lo compongono: mercato, impresa, profitto, bilanci, lavoro, diritti, uguaglianza, equità, ecc. .
Come sappiamo, in questo modello economico il profitto è l’obiettivo trainante anche se non dovrebbe avere l’esclusiva vista la complessità del sistema stesso. Il problema sorge nel momento in cui si parla di eguaglianza delle possibilità e delle opportunità da offrire a coloro che sono ai margini del sistema, che non hanno la possibilità di salire sul treno della concorrenza; che non possono godere di quegli strumenti fondamentali per far sì che se stesso e il proprio paese possa svilupparsi. Certo, l’economia deve obbligatoriamente creare ricchezza ma, in termini non soltanto quantitativi, ma anche qualitativi: tutto ciò è moralmente corretto se finalizzato allo sviluppo globale e solidale dell’uomo e della società in cui vive e opera (Compendio DSC n. 334).
E’ necessario fare delle scelte concrete per vivere in maniera democratica l’economia sia riconoscendo il valore dell’uomo all’interno del sistema sia facendo sì che la solidarietà non diventi una sovrastruttura del sistema. Anche noi, che dedichiamo tempo, riflessioni e spesso preghiere per le vite mai nate o per coloro che indegnamente vengono aiutati o lasciati morire, abbiamo l’obbligo di occuparci anche del sistema economico perché, purtroppo, anche vivere e morire viene ridotto ad un mero costo per la collettività. Quindi occuparci di economia e di ciò che ha a che fare con essa vuol dire occuparsi della persona nella sua interezza. Non possiamo solo leggere giornali finanziari e chiarirci le idee se i nostri titoli ci hanno fatto guadagnare o, com’è successo non molto tempo fa, ci hanno messo sul lastrico.
Parlare di solidarietà per il cristiano rientra praticamente nella sua natura. Il problema è viverla la solidarietà in una complessità di sistema che calcola la solidarietà sulla base dei versamenti personali all’una o all’altra associazione. Essere più ricchi significa essere più solidali? Essere solidali è essere coscienti della propria responsabilità nei confronti degli altri, operare per la tutela dei diritti delle persone soprattutto di quelle più ai margini. Di fatto dobbiamo capire che affidare al mercato la produzione di ogni bene è praticamente utopistico. Forse quelli che vengono chiamati “beni relazionali” possono essere prodotti dal mercato? Ci sono beni, pertanto, che non sono catalogabili semplicemente come merce.
Il rischio è di arrampicarsi sulla china dell’avere. Una gestione migliore dell’economia come riduzione del superfluo e onorare quanto dovuto al fisco semplicemente rispettando la Costituzione, potrebbero essere viatici per riscoprire il senso di una solidarietà costruttiva, sistematica e non fatta dell’offerta in un momento di forte emozione. Il sistema democratico aiuta tutto ciò, ma non è sufficiente perché, come scrive il papa, bisogna adoperarsi per costruire stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti (Giovanni Paolo II, Centesimus annus,n. 36).
A ciò si può aggiungere il fenomeno della globalizzazione, ormai inarrestabile. E’ un fatto con il quale convivere cercando di ottenere la possibilità di un governo della stessa. Essa è stata ed è una grande opportunità per pochi e una insidia per molti. La globalizzazione è oltre lo stato, travalica le sue leggi perché si posa in ogni dove spinta esclusivamente dalla smania di trovare sempre un miglior offerente o un costo del lavoro inferiore. Chi è rimasto fuori dal meccanismo molto probabilmente non ha scampo. Forse di fronte a tutto ciò si può tacere? Certo la polemica di basso profilo non può avere nessun successo, ma la proposta che l’estensione della globalizzazione debba essere accompagnata da una più matura presa di coscienza, da parte delle organizzazione della società civile, dei nuovi compiti ai quali sono chiamate a livello mondiale (Compendio DSC, n. 366), può aiutare a creare quel ponte che aiuti la solidarietà tra i popoli e tra le generazioni.
Democratizzare l’economia è un’operazione complessa di fronte a continui cambiamenti di scenario sia a livello locale, nazionale che internazionale. Va affrontata a partire da un’altra operazione che vede l’umanità ancora divisa e, possiamo dire, anche i cristiani: essere operatori di pace.