lunedì 2 giugno 2008

La sindrome del Partito ombra

Ilvo Diamanti - La Repubblica

Nessuno avrebbe immaginato, un anno fa, un sistema partitico semplificato come quello uscito dalle recenti elezioni. Quasi bipartitico, visto che le due forze politiche principali, PdL e Pd, insieme, hanno superato il 70% dei voti (validi).Tuttavia, non è facile prevedere che ne sarà del bipartitismo italiano. Il cui destino dipende dai due partiti che lo hanno prodotto e dai leader che lo hanno guidato. Da PdL e Pd. Da Berlusconi e Veltroni. Anzi, soprattutto da Veltroni e dal Pd. Perché è difficile dubitare della durata di Berlusconi. (E´ eterno). Anche se il suo Popolo della Libertà, per ora, resta un´intesa elettorale. Privo di legittimazione da parte degli organismi di Fi e An. Tuttavia, Fini e soprattutto Berlusconi agiscono come leader di partiti personali, che operano in base a scelte personali, espresse dalle persone che li hanno concepiti, inventati, trasformati e guidati. Berlusconi, il PdL e i suoi alleati, inoltre, hanno vinto le elezioni. Governano. Buoni motivi per "resistere" a lungo.Diverso e più serio, invece, il discorso per il Pd e per Walter Veltroni. Usciti sconfitti, seppure in modo onorevole. Dopo il voto, affrontano una fase incerta. Comprensibile, per un partito nuovo, guidato da un leader nuovo, che sperimenta un modo nuovo di fare opposizione. Sospettato, da alcuni amici e alleati, di eccessiva disponibilità alla mediazione. Con un leader trattato, fino a ieri, come un nemico. Anzi: il Nemico. Il futuro del bipartitismo (relativo, vista la presenza di altri soggetti politici, come IdV e Lega) dipende, quindi, in gran parte, dalla capacità di Veltroni e del Pd di consolidarsi. Senza perdere la fiducia dei propri elettori, ma allargando il perimetro tradizionale del consenso, che rischia di rendere il Pd, come alcuni malignano, l´ulteriore variante del postcomunismo. Il Pds senza la esse. Dipende, al tempo stesso, dalla capacità di Veltroni e del Pd di chiarire il reciproco rapporto. Fra leader e partito. Di decidere, cioè, cosa sarà il Pd da grande. A favore di Veltroni, tre indicazioni, che ricaviamo da un sondaggio post-elettorale condotto dal LaPolis (Laboratorio di studi Politici e sociali) dell´Università di Urbino nelle ultime due settimane.1. C´è una domanda generalizzata di dialogo e collaborazione fra maggioranza e opposizione sui temi topici della riforma delle istituzioni (90%). Questo orientamento non mostra particolari differenze fra schieramenti e partiti. E, nel Pd, coinvolge quasi la totalità degli elettori (94%).Ciò suggerisce che l´attuale politica "costruttiva" di Veltroni disponga di un largo sostegno, anzitutto fra i suoi elettori.2. Forse anche per questo motivo, Veltroni gode di un consenso trasversale, che supera i confini del Partito Democratico e perfino del centrosinistra. Veltroni, infatti, è il leader maggiormente apprezzato per la sua condotta degli ultimi mesi. Approvata da quasi due terzi degli elettori, nell´insieme. In particolare: dal 93% dei Democratici e dall´80% di quelli dell´IdV-Di Pietro. Ma, soprattutto, da oltre metà degli elettori del PdL e dal 70% di quelli dell´UdC.Per spiegare la simpatia del centrodestra, si potrebbe malignare che verso gli sconfitti si è disposti ad essere indulgenti e generosi. Tuttavia, Prodi, a centrodestra, aveva sempre suscitato diffidenza. Anche quando, alla fine della breve legislatura, appariva politicamente "sfinito". Peraltro, gran parte degli elettori, realisticamente, ritiene che, dopo il voto, Veltroni si sia indebolito. Non solo nei confronti dei leader vincitori. Anche del suo alleato, Antonio Di Pietro. Anche se sconfitto, quindi, Veltroni è apprezzato. Perché considerato principale artefice della semplificazione del sistema partitico. Il leader che, con le sue scelte, ha costretto Berlusconi a "inventare" il PdL, riunificando FI e AN. E a presentarsi, a sua volta, (quasi) da solo.La fiducia nei confronti di Veltroni, inoltre, rispecchia il "rendimento mediatico" del leader Pd. La sua capacità di affrontare la campagna elettorale e, più in generale, la politica nell´era del marketing e della comunicazione. Veltroni, dunque, piace, come leader. Ai suoi elettori ma anche a quelli di Berlusconi. Da cui ha appreso, in modo egregio, la lezione. Lo stile. Fino a superare il maestro.3. La terza osservazione ricavata dall´indagine del LaPolis riguarda, direttamente, il Partito Democratico. La cui esperienza è guardata con favore da nove elettori su dieci, nel Pd. Al contrario, solo una frazione residuale (il 4%) pensa che occorra "resettare" il sistema e ripartire da capo. Rilanciando i partiti che lo hanno fondato. DS e Margherita. Tuttavia, questo consenso generalizzato riassume orientamenti distinti e distanti. Infatti, metà dei favorevoli al Pd ammette che, nel costruirlo, siano stati commessi errori significativi. Insomma, ne sono insoddisfatti.Il che sottolinea un certo distacco: fra la volontà - condivisa - di proseguire l´esperienza del Pd; e l´insoddisfazione - diffusa - per il modo in cui è stata, sin qui, realizzata. Questo contrasto, come quello nei confronti dell´immagine di Veltroni - universalmente apprezzata - non deve sorprendere troppo. Riassume il dilemma, irrisolto, su cosa farà, da grande, il Pd.Più in particolare, riflette l´ambiguità sul rapporto fra leadership e il partito. Che riguarda il sistema politico e la democrazia in Italia. Ma, nel Pd, appare più evidente.In effetti, la campagna elettorale si è svolta seguendo un modello di tipo presidenzialista. Berlusconi contro Veltroni. Come fossimo negli USA oppure in Francia. Una tendenza che Veltroni ha interpretato al meglio. Per qualità personali, ma anche perché ha saputo intercettare la domanda - estesa e trasversale - di semplificare il sistema partitico. Fino a ridurlo a due forze politiche riassunte da due leader. Perché, inoltre, ha cercato di superare la lunga stagione della frattura tra berlusconismo e antiberlusconismo. Passando dalla contrapposizione all´opposizione. Abbattendo il muro di Arcore, eretto dove prima c´era quello di Berlino. Tuttavia, passate le elezioni, il Pd appare un progetto incerto. Un partito incompiuto. Un partito-ombra all´ombra del governo-ombra. E di un presidente/premier-ombra. Mentre il dibattito politico si svolge, con accenti spesso critici, fra i "leader di una volta". D´Alema, Marini, Parisi, oltre allo stesso Veltroni. Di ciò che avviene in periferia, al centro giungono echi molto fiochi. Di ciò che avviene al centro, in periferia si sa poco. Al centro come in periferia, i "nuovi" dirigenti e militanti, esterni alle tradizionali cerchie di partito, stentano a farsi largo. Insomma, il Pd oggi esprime un´ambiguità di fondo. E´ un partito quasi "presidenziale" mentre il nostro sistema istituzionale non è presidenziale, né semi-presidenziale. Ma parlamentare E non assegna poteri particolari al premier.Inoltre, è un partito "debole" dal punto di vista organizzativo, dell´identità, del rapporto con la società e il territorio. Ma il nostro sistema elettorale è ultraproporzionale e attribuisce ai partiti (meglio: alle oligarchie di partito) un potere elevatissimo.Questa situazione è comune al PdL. Che, tuttavia, ne soffre assai di meno. Per motivi "biografici", visto che Berlusconi l´ha generato e ri-generato, a propria immagine e somiglianza. Per motivi di cultura e tradizione politica: per l´attrazione suscitata, a centrodestra, dal mito dell´uomo forte. A centrosinistra è diverso. Perché Veltroni non è Berlusconi e il Pd non è il PdL. Il PdL senza Berlusconi: non esisterebbe. Veltroni senza il Pd: non può durare. Ma il Pd non c´è ancora. E il nostro bipartitismo - anche per questo - zoppica.

Il vero cristiano si vede dai clandestini


Enzo Bianchi - La Stampa


Le preoccupazioni che anche recentemente ho avuto modo di esprimere sul clima di intolleranza nei confronti degli stranieri non fanno che crescere in queste ultime settimane.Le poche voci che si levano a chiedere maggior prudenza e discernimento nel parlare e agire in una questione così complessa e delicata finiscono con l’essere sommerse dall'onda di una emotività che, se non creata ad arte, è quantomeno alimentata per ragioni non sempre trasparenti. Parimenti sono trattati come irrilevanti, inappropriati o intempestivi gli appelli alla salvaguardia della giustizia e dei diritti umani o all'accertamento delle responsabilità individuali. Principi fondamentali del diritto nazionale, comunitario e internazionale, come la non discriminazione in base all'appartenenza etnica o religiosa, vengono declassati a secondari di fronte alla percezione di una «emergenza» che, anche se fosse tale, non dovrebbe però mai sospendere le garanzie essenziali della convivenza civile.Tutto questo, si dice, è per rispondere in modo tempestivo e credibile alla pressante richiesta di «sicurezza» che viene dalla maggioranza della popolazione. Ma essere attenti a sentimenti diffusi nella società, ascoltare le paure che emergono, cogliere i bisogni e le richieste avanzate in modi propri e impropri non significa cessare di interrogarsi su cosa e chi le genera, non comporta l'abdicare ai principi fondanti il vivere insieme, non richiede l'abdicazione della ragione e dell'umanità di fronte alla passione emotiva. È proprio di fronte alle «emergenze», vere o artefatte che siano, che vengono alla luce le radici autentiche di un tessuto sociale e la solidità di convincimenti etici e religiosi: un orientamento etico e un impianto giuridico non possono essere considerati validi solo in situazioni di ordinaria amministrazione e poi essere accantonati o stravolti all'insorgere di problematiche inedite. È proprio la capacità di elaborare risposte coerenti a una serie di convincimenti fondamentali e condivisi che conferisce identità e solidità a una comunità nazionale nel mutare degli eventi storici. Saldezza di principi e identità culturale non sono affatto realtà statiche, immutabili: sono il frutto di secoli di maturazione del pensiero e dell'azione di singoli individui e di gruppi sociali a volte anche molto distanti tra loro nell'opzione ideologica di fondo.Dialogando si può e si deve ricercare, inventare, concordare non un «minimo comune multiplo» ma un ideale abbastanza alto per stimolare la dinamica della vita sociale, aprire nuovi orizzonti, offrire speranze alle generazioni future e, nel contempo, sufficientemente realista da poter essere calato con efficacia nel vissuto quotidiano.In questo senso la presenza di stranieri nel nostro paese e, in particolare quella di gruppi etnici o religiosi marcatamente «altri» rispetto alla maggioranza, non è tanto una minaccia alla situazione esistente quanto un'occasione preziosa per verificare cosa davvero conta per noi nelle nostre vite e quale prezzo siamo disposti a pagare per ciò in cui crediamo. Del resto ci sono nodi che è inutile fingere di ignorare, quasi che rimuovendo il problema lo si risolva: come dimenticare, per esempio, che solo qualche anno fa vi era chi auspicava di favorire l'immigrazione da paesi di tradizione cristiana piuttosto che musulmana pensando così di facilitare ipso facto l'integrazione dei nuovi arrivati? I gravissimi episodi di intolleranza e xenofobia nei confronti di zingari e romeni - in maggioranza di religione cristiana - dimostrano purtroppo la miopia di tale auspicio: i problemi erano e sono di altro tipo. Anche per quanti si richiamano al cristianesimo la situazione di queste settimane dovrebbe costituire un campanello di allarme: che cultura, che etica della vita si vuole comunicare?Che ne è dell'attenzione al povero, allo straniero, alla vedova e all'orfano - cioè alle categorie che non avevano diritti ed erano indifese alla mercé dei più forti? Che ne è dell'esempio delle prime comunità cristiane in cui si tendeva a che non ci fosse «nessun bisognoso» grazie alla condivisione, né si ammettevano discriminazioni nell'appartenenza tra giudeo o greco, uomo o donna, schiavo o libero?Che ne è delle parole di Gesù sull'amore per i nemici, sul perdono, sulla misericordia; o delle esortazioni dell'apostolo Paolo a «non rendere a nessuno male per male», a «vincere il male con il bene», a «cercare sempre il bene tra voi e con tutti»?E, per calarci direttamente nelle problematiche odierne, che ne è delle parole che Paolo VI pronunciò nel 1965 a rom e sinti: «Voi siete nel cuore della Chiesa»? A quale conversione hanno spronato le richieste di perdono fortemente volute da Giovanni Paolo II come momento penitenziale del Giubileo del 2000? Utopie irrealizzabili, verrebbe da dire di fronte alla vastità dei problemi che il fenomeno mondiale delle migrazioni pone alle nostre società occidentali più ricche, ma la differenza cristiana che queste istanze evangeliche pongono come ineludibile si misura anche e soprattutto nelle circostanze più difficili.E non può non interrogare tutti - credenti e non credenti - il malcelato scherno con cui da più parti si stronca ogni richiamo verso una maggior giustizia ed equità sociale, verso una solidarietà fattiva, additandolo come «buonismo» pericoloso, denigrando le «anime belle» che credono nella forza della persuasione, del convincimento, del dialogo, della pace.Siamo davvero convinti di difendere la nostra identità di popolo e nazione civile fomentando il ritorno alla barbarie dell'homo homini lupus? Che «sicurezza» sarebbe mai quella imposta con la violenza, il sopruso, la vendetta, la violazione dei principi costituzionali? Se quella in cui siamo scivolati è un'emergenza, essa non ha il nome di un'etnia ma quello della nostra civiltà.

Che fatica partecipare!

Dò il benevenuto a voi che vi sottoponente al
sacrificio di esserci, di contribuire a questa finestra. Qui dialogo e
approfondimenti troveranno terreno fertile.
Alla fine:


"La laicità, intesa come principio di distinzione tra stato e
religioni, oggi non è solo accettata dai cristiani, ma è
diventata un autentico contributo che essi sanno dare
all'attuale società, soprattutto in questa fase di costruzione
dell'Europa:
non c'è contraddizione tra fedeltà alla Chiesa e attaccamento
all'istanza di laicità".

Enzo Bianchi "La differenza cristiana" ed.Einaudi


"E' un obbligo eterno fra esseri umani non far soffrire la fame ad alcuno quando si ha la possibilità di dargli assistenza"

Simone Weil

"Salvaguardare i diritti degli altri è il fine più nobile e bello di un essere umano"

Kahlil Gibran